Opere

Rivista Le Muse, Via Ravagnese Superiore, 42, 89067 Reggio Calabria - aprile 2003

Lorenzo Masuelli, Parole tra terra e cielo, poesie, Edizioni Poliservice, 2002, pp.158, s.i.p.

Recensione di Guido Pagliarino

Le numerose liriche di questa nuova silloge di Lorenzo Masuelli, importante autore, poeta e traduttore classico, cui da tempo la maggiore critica ha dedicato attenzione, sono state composte appena in alcuni mesi, circa una al giorno, dal I maggio al 30 dicembre 1999. Tema di fondo, lo spazio-tempo creato dal Verbo nell’evoluzione e, fango plasmato nel corso delle ere che un giorno riceve il Soffio, l’uomo: fra terra e cielo; ma un altro giorno “La Terra, isola di verde, di fiori / per morte del sole vivrà la notte”. Un’isola guastata dall’industrializzazione selvaggia, nella quale piuttosto che gli uccelli cacciati dall’inquinamento “cantano i veloci motori che esalano / nubi di smog: son buie e luna e stelle”; forse, la fine del mondo verrà assai prima che la nostra stella esploda. Però, per ognuno, la fine del mondo è la propria morte; e la vita è breve, “fugge, fugge l’ora senza ritorni”; un’eco leopardiana, direi: “O gioca, gioca gioventù fiorita / all’ombra verde di molte energie/…/ Non attendere mai l’età matura”. Ormai giunto a quest’età, il poeta, s’abbandona al dolce ricordo: “Quanto è mai dolce, tanti anni passati, / tornar sul sentiero della memoria: / ricordi sommersi d’infanzia felice”; nello stesso tempo, egli s’interroga sulla vita trascorsa: “Contemplo il vasto mare della vita, / la lunga traversata senza soste, / spinta da vele turgide di vento, / il vento d’illusioni”. Tanto affannarsi, e poi? Poi, “necessità di Dio”, di quel “…Dio che in cuore all’uomo nacque”, non “…l’invisibile inafferrabile”; un esito cui il Leopardi non poteva invece giungere, egli gran lettore del Qelet e manchevole di Cristo, alla cui sola luce acquista un senso quel testo biblico sulla somma vanità dell’esistente, sulla vanità delle vanità secondo la lingua dell’ignoto autore, pressoché priva di aggettivi. Quindi, “Giovane, che d’ardor vivi,… /…/ A ogni caduta rialzati e cammina, / abbi fiducia: è dono esser vissuto. Tutto è mistero, mistero è la vita”. “Esser, non esser? L’enigma d’Amleto. / Essere è gramo soffrire che dura, / tormento che rode la vita, / ma anche luce, la luce del mondo”; la stessa poesia, “Poesia, chi sei?”, appare mistero, finché non la si identifichi con Dio stesso; poesia che “si inalza al cielo in gioia di vita”; quel cielo che è uno dei soprannomi del Creatore del “…giardino ricco di frutti” che il peccato dell’uomo ha aperto al dolore e alla morte, anzi apre, perché Adamo significa L’uomo, d’ogni tempo. D’altronde, senza la possibilità di peccare non ci sarebbe libertà; non ci si dovrebbe chiedere, rivolgendosi all’ “…Ombra di Dio,… / perché ora dormi? Gli uomini si scannano”, ma saremmo dei burattini in mano a un Padrone, predestinati alla sola apparenza del bene; apparenza, perché il vero bene comprende anche la libertà, quella stessa cui, primo, si sottopose nel mondo Dio stesso incarnandosi e scegliendo di soffrire e morire per i peccati altrui d’ogni tempo, levando l’umano “Grido di dolore”: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Scrive in merito il poeta: “Adamo, Adamo, quanto mai monotona / sarebbe stata la vita nell’Eden, / la vita da angeli senza peccato! / Fuori dall’eden è tutto mistero, / ma nel mistero è luce di speranza; / sul tutto aleggia dolce poesia”. Questo bravo autore di profondi e musicali versi è di recente salito al Padre, all’Essenza della sua amata poesia.

Guido Pagliarino