L'editore non legge i dattiloscritti...

da LA STAMPA Tuttolibri

Rosalba: la poesia intesa come mistero

da IL CORRIERE DI ROMA - tuttolibri

Su Pietro Prini e "Lo scisma sommerso"

da VERNICE

Lo scisma immaginario

da SPIRITUALITÀ E LETTERATURA

Notturno salomonico...

 

Ipazia la martire

da PENNA D'AUTORE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
















 

Opere

ALCUNI MIEI ARTICOLI E RECENSIONI

da "LA STAMPA"

Citato su:

                                                                               

La rassegna stampa di Giovedì 04 Marzo 1999
Gli argomenti del giorno

Dibattiti

La Stampa, 04-03-1999, Tuttolibri, Pag. 1

L'editore non legge i dattiloscritti di autori italiani. L'agente vuole soldi
di Guido Pagliarino

(Da "LA STAMPA"  Tuttolibri del 4/3/1999)

L'EDITORE NON LEGGE I DATTILOSCRITTI DI AUTORI ITALIANI...

A proposito del "Fulmine" di Nico Orengo (Tuttolibri 24 febbraio), non pare che gli editori facciano appieno il loro mestiere di imprenditori, che comporta il rischio d’impresa: pubblicare affermati stranieri e non arrischiare su nuovi italiani elimina notevolmente l’alea; ed è meno oneroso per il bilancio editoriale eliminare il costo della lettura di dattiloscritti, lasciando proporre nuovi nomi, appena uno o due all’anno con esito positivo, corre ferma voce, agli agenti. Gli autori che hanno provato, prima di spedire a una grossa editrice, a incollare gli angoli delle prime e delle ultime pagine, hanno normalmente ricevuto di ritorno il dattiloscritto tal quale; restituzione, peraltro, sempre meno frequente: tante volte, ormai, c’è solo il silenzio.

Relativamente agli agenti letterari, a loro volta aziende, sembrerebbe che, di regola, non siano da meno nel considerare essenzialmente il loro bilancio d’impresa. Invece d’accollarsi il costo della ricerca di nuove penne, chiedono, anticipatamente! all’autore di belle speranze attorno alle sei-settecentomila lire per leggere e dare un parere su un suo dattiloscritto che, come mi era stato detto telefonicamente da una famosa agenzia, non superi però un centocinquanta cartelle perché, se no, quanto dovremmo domandare?!  

Insomma, alla base di tutto sembrerebbero esserci, per editori ed agenti, la legge di mercato, l’incapacità d’affrontare appieno i rischi del mestiere e l’impiparsi della propria funzione culturale, dimenticando d’essere sì aziende ma di tipo del tutto particolare.

Guido Pagliarino

 

TOP

 

"IL CORRIERE DI ROMA"

(Da IL CORRIERE DI ROMA, tuttolibri, 30 settembre 1997)

 

Rosalba Masone Beltrame: Oro e misteri

Rosalba: la poesia intesa come presagio

di Guido Pagliarino

 

Anche in questa nuova opera di Rosalba Masone Beltrame, "...sollevando il velo dell'incombente momento/l'infinito risponde"; e leggendo, aumenta la mia ammirazione per questa originale poetessa. Non mi dilungherò questa volta sulla forma, di cui avevo parlato nella mia recensione alla precedente raccolta, "Le parole nel sole", e che verifico nella consentanea prefazione di Marco Delpino. Ripeterò solo in estrema sintesi che le parole di questa poetessa e pittrice sono colme di colori, i suoi distillati versi sono come precisi colpi di pennello che in pochi segni ritraggono il reale, filtrato dall'io poetico: un reale pieno che comprende il Trascendente e non solo il mondo creato.

    Questa volta voglio parlare soprattutto del contenuto, di quanto sento essere l'essenza - Dio, creato, creatura - di questo poema lirico: poema, data la sua unità, piuttosto che raccolta; tre canti più che tre sezioni.

    È vero, come dice l'autrice, che "dicono i Sacri Testi/che non puoi/.../ seguire i pensieri di Dio", è vero che quanto sappiamo di Lui dalla Rivelazione è analogico - Padre, Figlio... - , a misura della nostra limitata mente; ma fuori dalla speculazione razionale ecco che Dio - "donde nasce/donde affonda/tutto l'Amore/del mondo" - può concedere di sentire, nell'arte, qualcosa del suo Essere; appunto, Rosalba Masone Beltrame riesce a squarciare, in diversi felici momenti, il velo del tempo, ad affacciarsi sul Mistero d'Oro da questo nostro "niente di nuovo" sotto il sole: perché "...l'Eterno/...è in noi".

    Non mi è insolito di trovare versi religiosi nelle raccolte che recensisco o prefó; ma tante volte comprendo che gli autori non hanno cercato, forse pensando che la loro ispirazione bastasse ad aprire qualche Spiraglio; oppure che l'hanno fatto disordinatamente, mescolando aspetti di religioni inconciliabili e loro punti di vista.

    La sofferta religiosità di Rosalba Masone Beltrame ha invece buone fondamenta teologiche, viene sicuramente da un approfondimento del pensiero cristiano così come, in genere, del tutto seria è stata la ricerca culturale ed artistica di questa poetessa e pittrice (donna, mi si consenta dire tra parentesi, generosa, secondo l'insegnamento di Cristo).

    Ecco ad esempio alcuni versi: ..."sollevando l'Umano/dagli abissi del Nulla/NATALE", dove quell'umano con l'iniziale maiuscola ci dice della reale umanità e della vera divinità del Salvatore, e quel Nulla ricorda quale sarebbe stato il nostro destino, solo volto alla morte, senza la Comunione Dio - uomo realizzatasi in Gesù.

    Ciò non toglie che, a volte, intervenga l'umanissimo dubbio, che la Fede sembri per un poco vacillare, sino a far dire: "Per noi destinati a perire/l'abisso/del vuoto./Un amaro amarissimo/nonostante la neve e Natale" - nonostante Pasqua di risurrezione, mi si consenta di suggerire - , a far temere che si tratti solo di "illusioni di rassicuranti orizzonti"; per tornare, però, alla "scintillante certezza/.../di Essere" "consapevoli e folli", a quella follia celeste di cui scriveva Erasmo da Rotterdam.

    Le liriche e i dipinti di Rosalba Masone Beltrame sono preghiere, nel senso dell'intuitiva comunione dell'io umano coll'Essere divino.

    La vita è ricerca, o non si vive davvero; ma a quale scopo se la mèta non è oltre?!

    "L'avventura si chiama orizzonte" proclama l'autrice all'inizio del secondo canto, meravigliosa avventura in quei cieli nuovi e quelle terre nuove che la Rivelazione ci promette, dove saranno "il lupo e l'agnello/insieme alla fonte", dove non ci saranno più momenti di sconforto in cui sentire che "ogni fibra/è puro odio/e niente sussiste/che non sia orribile/e il cielo e il mare sono con me".

    Però Dio è anche qui, ed ecco che si può incontrare, e fissare sulla carta o sulla tela, "straripante il momento/- insieme braccia/ripiene di cielo -/e l'arpa che suona/smuove le nuvole/attiva la vita/svela il divino/dentro il Creato".

    Così dopo ogni notte, o dopo tutte le sofferenze di un anno - terzo canto - "la fiaba ricomincia da capo volgendo il pensiero verso l'altare infinito". Ogni compleanno è "...l'invisibile ponte...tra passato e futuro/tra futuro e passato, è tanto passaggio "verso l'ignoto" quanto memoria del trascorso, il quale nel cuore d'artista s'affabula, diviene mitico, in cui "tu puoi vedere dolcemente ondeggiare/ - sentire dolcissima lieve -/la danza di Pan".

    Il tempo trascorre per l'autrice nello spirito d'Agape, di quell'Amore divino che accomuna gli esseri umani grazie al Sacrificio dell'  "...Agnello" che "brilla/come il più terso/dei preziosi diaspri"; un Amore che, come Gesù vuole, indirizza Rosalba Masone Beltrame verso il prossimo, che la porta tra l'altro a pregare il Padre, in alta poesia, per i morti della Jugoslavia. 

 

 

TOP


 

RIVISTA "VERNICE", Genesi Editrice s.a.s., Via Nuoro, 3, 10137 Torino

 

(Da VERNICE, n. 13, 1999)

PIETRO PRINI

di Guido Pagliarino

Il Vaticano II ha chiarito e i corsi di cattolicesimo riportano quanto si può accogliere in senso metaforico; ad esempio, Ha'dam = L'uomo = genere umano. Per il Prini la maggioranza dei cattolici è divisa dal magistero per i motivi seguenti. Il peccato originale non è più accettato quale colpa dei progenitori che si trasmette. Fatto è che può essere visto non come macchia sulla platonica anima ma come l'attitudine portata dalla carne a farsi centro del mondo al posto di Dio. A proposito dell'inferno leggo di "condanna senza speranza al castigo eterno"; invece è inteso quale risultato della voluta, consapevole decisione di odiare Dio. Quanto al diavolo, può essere interpretato come origine della tentazione, ma per l'autore sarebbe visto dal magistero solo alla lettera. Non è vero che nel matrimonio si veda come solo fine la procreazione. Il Vaticano II ha chiarito che i fini sono tutti primari e che la procreazione dev'essere responsabile. Per la Chiesa l'uccisione del concepito non può trovare assoluzione nel "personalismo intersoggettivo" né nei risultati della scienza (sempre falsificabili: Karl R. Popper), come l'idea di J.-F. Malherbe, citata dal Prini, che solo dopo molti giorni "si può parlare dell'embrione come di una persona umana in potenza". L'applicazione alla Chiesa dell'idea di società aperta, che il Prini auspica, è insostenibile perché ci sono nel cattolicesimo punti etici intoccabili; la Chiesa non può avere idee proprie ma solo quelle di Cristo espresse dal Testamento: sarebbe eresia, non scisma. Per il resto, porte già aperte.

TOP

Pietro Prini, Lo scisma sommerso, saggio, Garzanti, 1999 e 2002, pp.119, euro 6,50

 

RIVISTA "SPIRITUALITÀ E LETTERATURA", Via Michele Cipolla 48, 90123 Palermo

 (Da SPIRITUALITÀ E LETTERATURA n. 42, gennaio /aprile 2000)

 

LO SCISMA IMMAGINARIO

di Guido Pagliarino

Non mi amareggio troppo quando esponenti del laicismo, compreso quello credente ma che fa centrale l'uomo e non Dio, rifiutando i principi etici forti, divini, del cattolicesimo, nel loro sport preferito di sparare alla gerarchia della Chiesa ignorano la dottrina cattolica emersa dal concilio Vaticano II e scrivono cose obiettivamente false; c'è infatti, e non da oggi, in quell'ambiente un diffuso analfabetismo relativamente al cattolicesimo. Basti pensare a Voltaire che, basandosi sul principio fisico del nulla si crea e nulla si distrugge, derideva la risurrezione del corpo, ignorando che Dio, tramite San Paolo, ci dice che il corpo risorto è glorioso spirituale. Mi dispiace invece moltissimo quando è un cattolico a non apparire sufficientemente informato (e ad essere sostenuto dai primi).

Una parentesi: Il concilio Vaticano II non ha stabilito dogmi; ha invece, tra le molte altre cose, indicato ciò che è di libera discussione, quanto un cattolico può pensare, senza eresia, diversamente da quanto tradizionalmente creduto, ben inteso relativamente alla forma ma sulla stessa sostanza di fede; ad esempio, il diavolo è di fede perché è nella Bibbia ma, in assenza di una precisazione dogmatica della Chiesa, può essere inteso, volendo, in senso metaforico, quale origine delle tentazioni. C'è stata, a proposito del Vaticano II, una fioritura di scritti, ormai da oltre una trentina d'anni, come quelli, per citarne solo alcuni, di Gianfranco Ravasi, Manlio Simonelli, Ortensio da Spinetoli, Carlo Molari, Bruno Maggioni, Antonio Bonora. Chi lo vuole ha tutti gli strumenti per informarsi.

Nel suo ultimo libro, oggetto d'un gran caso su quotidiani laicisti, "La Stampa" di Torino con Gianni Vattimo in testa, il filosofo cattolico Pietro Prini sostiene la tesi d'uno "Scisma sommerso" nella Chiesa, che deriverebbe dal fatto che la maggioranza dei cattolici sarebbe su posizioni dottrinali diverse da quelle del Magistero. Semmai, e purtroppo, c'è una parte dei cattolici che non segue corsi di cristianesimo per adulti, non legge libri in merito, e ha dunque le idee un po' confuse. Stando a quanto scrive il filosofo, l'insegnamento della Chiesa si basa notevolmente su Sant'Agostino. Non è così: per molti suoi punti soggettivi e transeunti, egli è disatteso da tempo, ad esempio per l'idea che i neonati non battezzati finiscano all'inferno. L'autore vuole dimostrare che, relativamente alla Genesi, non si possono prendere alla lettera Adamo ed Eva: ma è parte della dottrina ufficiale della Chiesa che è lecita, in merito, l'interpretazione metaforica. La scuola razionalista atea e quella protestante mitica, ormai abbattute dalla scuola cattolica tradizionalista con vari strumenti, tra cui non secondariamente i principi della continuità e della discontinuità, sono state utili al cattolicesimo: nel confronto questo s'è ulteriormente affinato, sia corroborando la storicità di Cristo e la realtà della Risurrezione sia meglio comprendendo che l'Ispirazione della Scrittura è da vedersi, in certe parti, nell'essenza del racconto e non nella sua lettera. Poi il Prini tratta del peccato originale, sempre secondo Sant'Agostino, dichiarando che esso non è più accettabile quale una colpa personale dei progenitori che si trasmette ai discendenti. Fatto è che anche su questo Sant'Agostino è da tempo abbandonato. Il peccato originale può essere visto, senza scomuniche, non come una macchia sulla platonica anima ma come l'attitudine portata dalla carne ad essere egoisti e superbi, a farsi centro del mondo al posto di Dio; peccato (difetto) non personale che i meriti di Cristo cancellano aprendoci l'accesso al Regno, a Dio. Il peccato originale e il diavolo sono, per la Chiesa conciliare, necessari al dono della libertà che Dio ci ha amorevolmente concesso, libertà di voler salire o no a lui, essendo giusti seguendo la volontà di Dio o al contrario peccatori sottostando alle tentazioni. A proposito dell'inferno l'autore parla di "condanna senza speranza al castigo eterno dell'Inferno", che scrive con la maiuscola, dice che è visto dalla Chiesa come "vendetta", afferma che non si tiene conto di "recupero e rieducazione del colpevole". In realtà l'inferno, il finire sotto terra, il cadere nel nulla, male assoluto senza alcun bene in quanto negazione dell'Essere divino che è Bene assoluto senza nessun male, nella dottrina cattolica conciliare è inteso, proprio come il Prini auspica, quale risultato della libera, razionale, determinata, consapevole decisione dell'essere umano, in odio a Dio, di non salire al suo Essere. L'autore scrive: "Esiste il diavolo? Si ritiene comunemente che la Scrittura, come vediamo, lo affermi in maniera esplicita". Più avanti: "Oggi le cose appaiono piuttosto diverse (...) risulta che soltanto il 25% degli italiani cattolici praticanti crede nel demonio come realtà personale". Direi che Pietro Prini considera questo fatto come una opposizione al magistero della Chiesa. Invece i corsi di cattolicesimo insegnano che, come già ho accennato, in assenza di una proclamazione dogmatica del diavolo quale persona, si è liberi di credere al medesimo in senso metaforico. L'autore, tuttavia, si batte per "la de-fabulazione dell'infernale". Dopo avere affermato, ed è purtroppo indubitabile, che parte dei cattolici che partecipano alla Comunione non si avvicina al sacramento della Confessione, il Prini, citando la distinzione tra peccato grave e peccato mortale del teologo ottocentesco Hermann Schell scrive: "C'è da augurarsi che questa distinzione, adottata oggi da molti autori, raccolga il senso cristiano (...) molto spesso ancora obliato della legge morale come il finalizzarsi di tutta l'anima a Dio e al suo Regno sulla Terra e del peccato mortale come la totale aversio a Deo e la perversità degli odiatori del genere umano". Mi chiedo: che senso ha l'augurarsi ciò che già è? È in dottrina pacifico che per perdere la Grazia ci vuole l'odio per Dio in piene consapevolezza e volontà. Se, per esempio, a un villano scappa involontariamente una bestemmia, non c'è peccato mortale. Anche nel penultimo capitolo, relativo a una presunta condanna ecclesiastica del piacere sessuale, ma in realtà è condannato l'egoismo, l'usare una persona, il non essere io per te bensì tu per me, non il piacere in sé, il Prini dice cose imprecise. Tra l'altro non è oggettivamente vero che, com'egli ritiene, nel matrimonio la Chiesa odierna veda solo un "rimedio alla concupiscenza" e come fine primario matrimoniale la sola procreazione. Il mutuo aiuto, che comprende la sessualità, ha valore tanto quanto la procreazione (e obbligatoriamente questa deve essere responsabile, fin da Paolo VI: non bisogna procreare più figli di quanti se ne possano mantenere, altrimenti si tratta di egoismo). Per quanto riguarda l'ultimo capitolo del saggio, "Interpersonalismo e bioetica", fatto è che per la Chiesa l'omicidio del concepito, anche se a pochi giorni dal coito, non può trovare assoluzione nel "personalismo intersoggettivo" richiamato dal filosofo né nei sempre provvisori risultati della scienza, scientifici solo se suscettibili di essere rimessi in discussione, falsificati (Karl R. Popper), come la congettura di J. - F. Malherbe, citata dal Prini, che "solo dal momento in cui lo zigote si converte in embrione (...) si può parlare dell'embrione come di una persona umana in potenza". Non è còmpito, peraltro impossibile, della scienza di indagare sull'infinito, non sperimentabile Dio, stabilendo quando egli infonda l'anima: il Creatore non ce l'ha rivelato, per cui dobbiamo ritenere che sia sùbito. L'applicazione alla Chiesa dell'idea popperiana di società aperta, che il Prini desidera, è improponibile in quanto vi sono punti etici forti irrinunciabili che non possono essere toccati dalla discussione, come vorrebbero invece coloro che collegano la morale alle decisioni contingenti di una democratica maggioranza. Al riguardo infatti la Chiesa non ha idee proprie ma quelle di Cristo contenute nel Testamento.

 

TOP

 

 

RIVISTA "PENNA D'AUTORE", A.L.I. Penna d'Autore, Via Sospello, 119/8, 10147 Torino

(Da PENNA D'AUTORE n. 20/2000)

 

NOTTURNO SALOMONICO DI VIA DELLA SANTISSIMA MARIA CONSOLATA, di Vincenzo Luciano Di Puma - Poesie, edizione in proprio - s.i.p.

di Guido Pagliarino


La silloge è un susseguirsi di allegorie, "veli" che possono avere molteplici significati. Cosí, "la fuga nel deserto" può essere quella della donna dell'Apocalisse giovannea, perseguitati da Satana, o forse no; è possibile che "la caverna vuota" di cui dice il poeta sia lo speco delle ombre platoniche, proiezioni del Vero, "vuota" perché le stesse persone che, chiuse in quell'antro, le scorgono sono a loro volta proiezioni; o forse per l'autore è altro; ma al lettore importerà anzitutto che le liriche di Vincenzo Luciano Di Puma, in versi liberi di godibile ritmo, sono un distillato, da gustare centellinando, di emozioni poetiche, suscitatore, anche, oltre le intenzioni del poeta, di soggettive visioni, come tutta la vera poesia. Si tratta di un estratto della ricerca mistica del Di Puma. Ecco la poesia centrale alla raccolta: "Dipingevamo con i colori dell'occulto / e il mistero con il suo segreto voleva / capissimo cosa potesse avere l'esistere / e l'elementare se relativo o assoluto / fluidificasse una semenza d'amore / e vedevamo avanzarsi la potenzialità / delle cose nei movimenti dell'Anima". è una ricerca al plurale, svolta in comune con gli amici e in particolare, in più giovane età, con Costantino Michele Massimiliano d'Ettorre, alla cui memoria il poeta dedica la silloge.

 

TOP

 

Ipazia la martire

 

(da Penna d'Autore N. 25 PRIMAVERA 2001)

di Guido Pagliarino

Immaginatevi che una donna geniale, come ad esempio la due volte premio Nobel Curie, venga aggredita da un gruppo di ululanti fanatici odiatori delle sue idee e del fatto stesso che sia femmina, scarnificata viva con taglienti conchiglie, le si amputino gambe e braccia e che poi i suoi resti, e forse prima che sia morta, siano bruciati perché non ne rimanga neppure la tomba; ma che questo avvenga nel 415, in tempi nei quali per una donna era quasi impossibile emergere, se non perché colma d’ingegno e dotata d’una volontà invincibile: vittima, la matematica, astronoma e filosofa Ipazia d’Alessandria d’Egitto, massacrata da un certo Pietro, lettore nel duomo della città, e da suoi compari che, come lui, di cristiano avevano solo il nome. Le prime notizie del delitto risalgono a una storia della chiesa del cristiano Socrate e a un’opera dell’ariano Filostorgio, di non molti anni successive.
Ipazia aveva fondato e diretto una scuola platonica divenuta famosa nell’impero che, senza pregiudizi verso le varie credenze, contava tra gli allievi anche cristiani, tra cui Sinesio, poi vescovo, a sua volta dotta figura che aveva continuato ad amare profondamente la propria «maestra, madre e sorella», come testimonia un’epistola che le aveva inviato anni dopo. Anche altri cristiani colti, pur non essendo stati suoi allievi, la stimavano; invece i credenti di mediocre istruzione la detestavano, mescolando antifemminismo, fanatismo religioso e senso d’inferiorità culturale, sino al punto che il gruppo di Pietro il lettore giunse al suo assassinio. Morendo Ipazia, la sua scuola, una delle più splendide accademie della tarda antichità, finì, senza che nessun allievo tentasse di prenderne la guida. Forse tutti i discepoli temettero per la loro vita. Pagò per l’omicidio la memoria del vescovo d’Alessandria Cirillo, accusato ancora in vita dal citato ariano Filostorgio, all’epoca famoso autore d’una storia ecclesiastica che intendeva difendere storicamente e teologicamente il cristianesimo ariano, in cui indicava l’alto prelato quale mandante del delitto. In quel tempo le controversie dottrinarie erano violente da tutte le parti, anche perché le varie correnti cristiane erano bandiere d’idee politiche diverse: i cristianesimi eretici (1) accoglievano le istanze d’indipendenza di regioni africane, palestinesi e siriane, Cirillo e gli altri vescovi ortodossi sostenevano l’impero; il che non impedì all’imperatore cristiano Teodosio, quando le diatribe giunsero al punto di minare la saldezza delle istituzioni, di destituire e scomunicare il vescovo d’Alessandria e di farlo incarcerare, pronunciando lo stesso ordine per il più acerrimo avversario di Cirillo, il monaco eresiarca Nestorio, che in seguito liberò ma relegò agli arresti domiciliari in un convento, senza riuscire, peraltro, a impedire che la chiesa nestoriana si diffondesse. Cirillo, invece, fu del tutto reintegrato. Questo vescovo ottenne ancora, non molto prima di morire († 444) la condanna di Teodoro di Mopsuestia, già maestro di Nestorio, quale esito di vari tentativi fra il 438 e il 440.
Il combattivo Cirillo aveva cominciato la sua opera di epurazione fin dal 403, partecipando alla destituzione di Giovanni Crisostomo vescovo di Costantinopoli, senza prevedere che questi sarebbe stato annoverato tra i Padri della Chiesa e che lui, per certe estremizzazioni di suoi allievi, sarebbe stato considerato, dopo la morte, l’ispiratore dell’eresia monofisita. Uomo dal durissimo carattere dunque, quel Cirillo d’Alessandria, e proprio questo lo rese indiziato dell’omicidio d’Ipazia. S’era reso sospetto non solo all’avversario Filostorgio, ma pure a Socrate lo storico, come intuiamo da certe sue considerazioni sul carattere del vescovo, coll’essere stato sempre sferzante non solo con le correnti cristiane che giudicava eretiche, ma pure verso quei filosofi che, proprio come Ipazia, non avevano accettato il cristianesimo; e direttamente contro la scuola di lei aveva più volte scoccato parole in duomo, prima dell’omicidio. È verosimile che i suoi ragionamenti avessero acceso a tal punto gli animi del rozzo lettore Pietro e dei suoi amici da portarli ad assassinare Ipazia, oltre le intenzioni del loro vescovo. Non fu difficile a Filostorgio costruire, senza prove, la tesi che Cirillo avesse senz’altro ordinato la morte d’Ipazia, per lapidazione scrisse, anche se poi i suoi scherani avrebbero ecceduto. Colorò la storia con una presunta invincibile invidia culturale del vescovo per la filosofa, che avrebbe sentito più sapiente di lui: tesi inverosimile, in quanto Cirillo era a sua volta famoso per la profondissima conoscenza della filosofia greca, su cui basava la propria teologia.
L’imputazione d’essere stato il mandante fu raccolta, circa un secolo dopo la morte d’Ipazia, da Damascio, che scrisse una sua biografia descrivendola donna dolce e bellissima di cui tutti gli allievi erano innamorati, vanamente in quanto aveva scelto la verginità, fatta uccidere da Cirillo per odio ideologico, invidia intellettuale e disprezzo per le femmine. L’accusa venne ripresa nel XVIII secolo in ambiente illuminista, da Voltaire e dal Toland, uno dei fondatori del deismo (2), per raggiungere il XX secolo, nella «Storia della filosofia occidentale» del filosofo Russell. Per contro, e me ne dolgo perché sono cristiano, credenti non seri e senza carità lanciarono accuse alla martire o ne stravolsero comunque la vita e le idee, seviziandone così anche la memoria, in complicità con gli antichi cialtroni che l’avevano uccisa. Il bigotto Lewis, per opporsi alle accuse deiste e illuministe contro Cirillo, non trovò altro che scrivere una diffamatoria storia su Ipazia, definendola una maestra d’Alessandria spudorata. Forse ancor più, il ricordo della filosofa fu vilipeso, nella prima parte del XIX secolo, dalla poetessa Diodata Roero che, in versi freddi, presentò Ipazia quale una martire cristiana che, stringendo un ideale crocifisso, nel venire fatta a pezzi perdonava i suoi assassini, mentre non c’è dubbio che la filosofa fosse stata una delle ultime, maggiori esponenti della cultura antica greca.
Sono stato tempo fa giudice popolare in Corte d’Assise d’appello: in un immaginario processo di secondo grado sull’assassino d’Ipazia, voterei per la condanna di Pietro lettore e dei suoi per sevizie, omicidio e vilipendio di cadavere e per l’assoluzione di Cirillo dall’accusa d’esserne stato il mandante (3); e se fossi il presidente della sezione, invierei a giudizio tanto Filostorgio, per diffamazione, quanto, per diffusione di notizie calunniose, Damascio, Voltaire, il Toland e il Russell, a danno di Cirillo, e il Lewis e la Roero, contro Ipazia.

1) Intendendo eresia nel senso originario di una scelta differente da quella di chi seguiva le pronunzie dei concili ecumenici della Chiesa.
2) Per il deismo, ogni religione era creazione umana e Dio, se c’era, non interveniva provvidenzialmente nelle vicende umane. Una corrente deista però, di stampo semignostico-cristiano, pur escludendone i miracoli e la risurrezione, credette alla realtà di Cristo; ma vedendolo quale rivelatore non dell’Amore divino, bensì della Ragione come unico mezzo di salvezza per gli uomini magnanimi: in tal modo pensarono, tra altri, i maggiori esponenti della Rivoluzione Americana, per cui la Costituzione degli Stati Uniti fu e resta di tipo deista.
3) Quanto meno per insufficienza di prove, dato che si tratterebbe d’un processo ideale: questa motivazione, in realtà, è da tempo abolita nel nostro ordinamento, sostituita dall’assoluzione, comunque, per non aver commesso il fatto.

TOP