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Guido Pagliarino

Gesù, Nato nel 6 “a.C.” Crocifisso nel 30 (Un approccio storico) Saggio sulla storicità di Gesù e della predicazione apostolica e sulla concreta formazione del Nuovo Testamento - Distribuzione Tektime e Amazon - Copyright © Guido Pagliarino tutti i diritti appartengono all'autore

Segnalazione di Merito al "PREMIO PER LA PACE 2004" del Centro Studi Cultura e Società

Vedi la pubblicazione in lingua spagnola di questo libro

Piano dell'opera          Alcuni stralci dal testo         Bibliografia essenziale dell'opera     Prefazione e primi paragrafi

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La  prima stesura di quest'opera, del 1996-97, a cura dell'autore era stata stampata in 100 copie, in occasione del Natale 1997, e donata a critici e a scrittori. Ecco due tra i pareri allora ricevuti  >

 

 

Giorgio Bárberi  Squarotti



Vittorio Messori

    
 

I seguenti sono invece gli articoli, le recensioni e i pareri relativi all'edizione, aumentata, del 2003 e 2008 >

 Maria Teresa Massavelli

Sandro Gros Pietro

Tommaso Romano

Antonio Scacco

Guido Bava

 

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 Copertine delle edizioni precedenti dell'opera, fuori commercio

 

 

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 ALCUNI STRALCI DAL TESTO: Questo è un libro di divulgazione storica, non di catechesi, e intende rivolgersi a tutti [...] Contiene notizie ignote a molti, pure a credenti; o meglio, conosciute in modo superficiale e distorto, che è peggio: lo so perché sono ormai anni che tengo conferenze sul vero Cristianesimo e colgo la meraviglia di presenti. Negli ultimi due millenni, accanto a innumerevoli casi di carità cristiana, tante cattiverie personali sono state commesse da membri della Chiesa, chierici e laici, e collettive, come guerre sante e roghi accesi con pari diligenza da cattolici e da protestanti, nemmeno che il Precetto fosse stato “Odierai il nemico” e Dio avesse considerato come suoi nemici personali gli avversari ideologici di quei fedeli. Pur se non fu minore il numero di atrocità compiute da non credenti e da membri di altre religioni, essendo essenziale messaggio cristiano l’Amore-Dio molti oggi rifiutano il Cristianesimo “incoerente” e “oscurantista”: il male appare sùbito e resta nella memoria, il bene no.  [...] Eppure, quanto sostanzialmente importa è: O Cristo è realmente esistito, morto e risorto e, dunque, ci ha salvati, oppure no. Se sì, ha sempre senso essere cristiani, anche se molti credenti usarono e usano la loro libertà per fare il male invece del bene; altrimenti, non ha mai avuto senso. [...] Per questo, con l’Illuminismo e il Positivismo, i critici del Cristianesimo avevano in primo luogo cercato di abbattere la realtà della Risurrezione e, parte di loro, la storicità stessa di Gesú. [...] Questo mio lavoro riguarda due periodi storici, anche se non è diviso in due parti: il tempo di Gesú e della prima Chiesa e l’epoca che va dall’Illuminismo ad oggi, con le sue varie scuole di contestazione al Cristianesimo. Contempla, in un confronto con quei critici, la realtà storica, o meno, di Gesú e quella della predicazione apostolica sulla sua risurrezione; inoltre, la concreta formazione dei libri del Nuovo testamento, opere letterarie, non dettate dall’Alto, anche se, senza contraddizione come vedremo, ispirate da Dio, in un tempo, all’incirca tra gli anni 50 e 90, nel quale, almeno in parte, i testimoni oculari di Cristo risorto erano ancora vivi e attivi nella comunità cristiana. Ipotesi contraria, ancor oggi di moda, è che questi testi siano stati scritti molto tempo dopo, quando erano ormai morti da un pezzo i testimoni e smentite non erano più possibili."

[...]

 "A proposito di documenti cristiani, cominciando dai libri del Nuovo testamento, non è giusto né razionale nutrire spontaneamente per essi minor fiducia che per le fonti storiche non cristiane: si consideri, oltretutto, che per i fatti narrati gli uni sono in sostanziale accordo cogli altri. La buona fede degli autori deve sempre essere ammessa fino a prova contraria, cioè all'eventuale ritrovamento di convincenti prove opposte. Ad esempio, nessun documento ha dimostrato falso il libro di Luca Atti degli apostoli e, dunque, è bene pensare che la vita della primissima Chiesa si sia svolta, in sostanza, così come dice l’autore. Oltretutto, se si assumesse l’atteggiamento contrario non ci sarebbero più testimonianze per la storia antica, in quanto tutte le relative fonti sono apologie, sono di parte, come gli storici sanno. Per gli autori antichi contava soprattutto mettere in evidenza la figura della persona che era stata protagonista di un avvenimento. In certi casi si trattava addirittura di memoriali degli stessi protagonisti, come i due libri di Giulio Cesare sulla guerra gallica e sulla guerra civile che nessuno però esclude dalle fonti storiche. Essere di parte non significa, per ciò solo, essere in mala fede, inventare. D’altronde anche per la storia più recente è possibile la manipolazione, la malafede, per esempio montando in un certo modo un film documentario per cambiare la cronologia degli eventi; ma anche in questi casi si deve dimostrarlo, che l’autore mente. Non sarebbe atteggiamento culturale ma viscerale supporre pregiudizialmente la mala fede dei documenti di autori cristiani solo perché non si accetta il Cristianesimo. Si noti inoltre che le copie di documenti neotestamentari in nostro possesso, le più antiche del II e III secolo, sono le più vicine nel tempo ai fatti che narrano rispetto a tutte le altre finora rinvenute: di originali, a parte documenti archeologici, non ce ne sono più. Ad esempio, il più antico codice relativo a Virgilio, il Veronensis, contenente frammenti delle Bucoliche, delle Georgiche e dell’Eneide, è solo del IV secolo; cinque secoli separano Tito Livio dalle più vecchie copie di sue opere giunte a noi; circa novecento anni dividono Cesare dalle più antiche trascrizioni rinvenute dei suo libri; e quasi millecinquecento anni separano il tempo di Aristofane e Sofocle dai più vecchi manoscritti di loro lavori in nostro possesso. Inoltre, i documenti neotestamentari sono assai più numerosi: ne sono stati trovati circa cinquemila. Tra questi, il più antico è il P52 Rylands, un frammento del 120 / 130 circa di 6 centimetri per 9, contenente alcuni versetti del Vangelo secondo Giovanni: soltanto novanta – cento anni lo separano da quanto narrato. Possediamo poi alcuni brani scritti attorno all’anno 200, cioè il documento P64 Magdalen – ma questo potrebbe essere di molto più antico: si veda oltre –, il P65 Bodmer e il P67 Fondazione San Luca. Del III secolo e meno incompleto, abbiamo il P45 Chester_Beatty, composto da una trentina di piccoli fogli contenenti lunghi brani e capitoli interi dei Vangeli. Tutti i citati manoscritti sono su papiro, supporto non molto caro ma facilmente deteriorabile. Documenti rimasti più integri furono composti dal IV secolo sulla più resistente pergamena, quando alla Chiesa, dal tempo di Costantino, fu possibile accumulare beni e dunque, tra l’altro, avvalersi regolarmente di quest’assai più costosa base di scrittura; tra altri documenti, e di gran valore per la ricerca, possediamo, del IV secolo, il Vaticanus, che contiene quasi tutta la Bibbia, e il Sinaiticus, con il Nuovo testamento pressoché completo, mentre i fogli sull’Antico sono in gran parte persi. Del V secolo e ancor più importanti perché riproducono l’intero Testamento, abbiamo, sempre tra altri, l’Alexandrinus British Museum, il Codex Ephraemi Biblioteca Nazionale di Parigi e il Codex Bezae Cambridge (in latino oltre che in greco)." [...] "Sebbene in tutti gli Evangeli Pilato non condanni Gesú ma semplicemente lo consegni agli ebrei perché lo uccidano, non solo si tratta d’una sentenza romana, ma c'è un forte indizio ch’essa sia voluta dal procuratore per ragioni d’ordine pubblico: si tratta della scritta che Pilato stesso fa apporre sulla croce, Gesú nazareno re dei Giudei, motivazione sintetica della sentenza che significa in sostanza: Gesú che abbiamo giudicato essere il capo degli insorti antiromani. Secondo le fonti storiche diverse dai Vangeli, Ponzio Pilato, quinto governatore della Giudea, durante tutto il suo mandato (circa 26 - 36 d.C.), non si manifesta come un uomo equilibrato, pacifico e il più possibile giusto compatibilmente con le esigenze d’ordine pubblico. Per gli storici Giuseppe Flavio e Filone alessandrino, è uno dei peggiori governatori della Giudea, crudele, rapace, ingiusto e pure rozzo. Appena insediato, fa sfilare a Gerusalemme le sue truppe urtando il sentimento religioso ebraico. Quindi ruba il denaro del tempio per fare costruire un acquedotto, facendo ammazzare tutti quanti protestano. Si suppone che in parte quei soldi restino nelle sue tasche; certo è che in genere, secondo quelle fonti, si arricchisce personalmente con vari furti e intrallazzi. Finirà in disgrazia, ma non a causa del processo a Gesú come recita una leggenda; invece, come riferisce Giuseppe Flavio, per aver provocato, verso il 35/36, un grave incidente diplomatico coi samaritani. Un sedicente profeta samaritano aveva affermato che sul monte sacro Garizim erano stati sepolti i sacri vasi del primo tempio, quello costruito da Salomone. Una gran folla s'era radunata su quell’altura: s'era trattato d'un semplice pellegrinaggio, ma Pilato, pensando a una sommossa, aveva fatto disperdere quella gente dalla sua cavalleria e fatto giustiziare i più eminenti dei presenti. La fedeltà samaritana era venuta meno. Quindi il governatore, denunciato all'imperatore da Vitellio, legato di Siria e superiore a Pilato in autorità, era stato destituito e rimandato in Italia per essere giudicato. Secondo una certa tradizione, l'imperatore l'avrebbe condannato all'esilio a Vienne in Gallia. Per lo storico della Chiesa Eusebio da Cesarea, Pilato si sarebbe suicidato. Nonostante le affermazioni di certi vangeli apocrifi assai tardi, nessun documento indica ch’egli sia divenuto cristiano per aver visto Cristo risorto nei giorni seguenti la Crocifissione; e d’altronde, l’ultimo episodio del suo governo ne è in contraddizione. Insomma, stando alla figura che ci hanno tramandato di Ponzio Pilato gli storici del I secolo, egli ben difficilmente si sarebbe assoggettato per quieto vivere al volere ebraico. I tumulti li sedava massacrando coi suoi soldati, senza pensarci su troppo; disprezzava la classe sacerdotale e in genere gli uomini del tempio e del sinedrio. È molto difficile che, durante il processo, egli non pensi a Gesú come a un pericolo, tanto più che i sacerdoti gli hanno detto che è il re, cioè il capo supremo religioso-politico dei ribelli i quali seguono la tradizione davidica, non sadocita; dunque, non si può pensare che il governatore lo condanni solo per compiacere sacerdoti e folla e non, anzitutto, per eliminare quello che per lui è un rischio per l'ordine pubblico. Il giudaismo è per Roma un problema particolare. La religione d’Israele è monoteista, ed è davvero del tutto una sola cosa con le tradizioni politiche. Teniamo presente che non solo per gli ebrei ma anche per i romani non c'è netta distinzione fra elementi politici e soltanto religiosi. L'impero, a patto di un atteggiamento leale verso Roma, ha riconosciuto agli israeliti il diritto di non adorarne gli dèi e in genere di non acquistare i costumi romani, e il diritto-dovere di vivere nell'ordine secondo le tradizioni dei loro padri ebrei: di fatto, secondo le norme sadducee e farisee. Custodi ebrei di quest'ordine sono appunto i sacerdoti e il sinedrio. I princìpi politico-religiosi che promanano dalla linea teologica davidica, quella del re-messia, tanto per i sacerdoti quanto per Ponzio Pilato sono un possibile fomite di disordini; e Gesú ha sicuramente creato agitazione a proposito delle forme di culto, un tutt'uno con le norme politiche concordate dai sadducei coi romani. Queste cose sono più che sufficienti perché il procuratore lo condanni a morte, secondo la legge romana, come fomentatore di disordini." [...] "Sono chiamati sadducei gli appartenenti a famiglie sacerdotali insieme ai loro sostenitori laici. Si proclamano gli eredi delle tradizioni sadocite, cioè dei discendenti dell’antico sacerdote Sadoq, o Saduq, vissuto prima dell’esilio di Babilonia: da qui il loro nome di sadducei. Costituiscono una minoranza nobile e ricca durante il periodo del secondo tempio, costruito da Erode il Grande a far capo dal 20 a.C., un’epoca che si concluderà con la distruzione di Gerusalemme e del medesimo tempio nel 70. I sadducei ammettono il valore vincolante della legge di Mosè e accettano i libri sacri più antichi, sicuramente tutto il Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio); non accolgono come parola di Dio i libri più recenti, fine II / I secolo a.C., come il 2 Maccabei (peraltro rifiutato, insieme al più antico 1 Maccabei, da tutti gli ebrei) e il libro della Sapienza, libri di mano farisea in cui appare il credo nella risurrezione alla fine dei tempi. I sadducei pensano, come i più antichi ebrei, che tutto finisca con la morte. Fors'anche per quest’idea, scendono a patti coi dominatori romani, allo scopo concreto di difendere i loro interessi terreni, gli unici reali, secondo loro. Sono sostenitori convinti del libero arbitrio e sono in opposizione teologica coi farisei che s’aspettano la risurrezione dei corpi e sono provvidenzialisti fino al punto che parte di loro crede alla più stretta predestinazione. I farisei si costituiscono nel II secolo a.C. come una fazione politica e religiosa di "separati" (perushim in ebraico, pharisàion in greco). Si considerano unaélite rispetto ai numerosi non osservanti, tali per mancanza di volontà o per ignoranza, che chiamano con disprezzo "popolo della terra", cioè individui materiali destinati a non risorgere. Si oppongono fin dall’inizio alla classe sacerdotale al potere, ellenizzata, che possiamo già chiamare dei sadducei. Durante la guerra ebraica scoppiata contro il re asmoneo Alessandro Ianneo, molto sanguinosa, decine di migliaia di farisei muoiono in battaglia e 50.000 prigionieri sono fatti crocifiggere dal sovrano, che è sostenuto dai sadducei i quali hanno fatto un compromesso politico con lui. Morto il re, la sua vedova, per timore, cerca la pace e chiama a corte anche i farisei, affidando loro le regole dell’osservanza, accanto ai sacerdoti collaborazionisti sadducei. Dall’originale opposizione tra sadducei e farisei si giunge quindi a un’alleanza, non sempre stabile peraltro, per difendere i comuni interessi. Parte dei farisei entra assieme ai sadducei nel sinedrio, sorta di senato e tribunale religioso-politico, quello che condannerà Gesú, pur non potendo divenire sacerdoti, per ragioni di nascita; ma nelle cerimonie nel tempio sono farisei a stabilire il comportamento, anche per quanto riguarda i sommi sacerdoti. I farisei si dividono in molte correnti, sette principali di cui, prime, due grandi scuole, dette case: di Shammai, che accetta con molte remore il proselitismo presso i non ebrei, e di Hillel, che vuole il maggior numero fattibile di proseliti dal paganesimo e facilita il più possibile le conversioni, anche a spese eventualmente di norme di osservanza ritenute troppo dure per i gentili. I secondi non sono molto distanti dalla mentalità di Gesú. A differenza dei sadducei collaborazionisti, i farisei sono ostili ai romani, ma si tratta di un’opposizione noncurante, senza manifestazioni esterne; tuttavia, quelli che ruotano attorno al tempio e al sinedrio, in sostanza collaborano cogli occupanti. Gli scribi infine, hanno a loro volta una posizione particolarmente autorevole, accanto e in parte a integrazione del sacerdozio. Al tempo di Gesú sono farisei o schierati coi farisei a cui sono comunque accomunati dallo zelo pignolo per la Torah. Durante l’esilio, molti secoli prima dunque, avevano conservato il patrimonio letterario religioso israelitico, divenendo poi i depositari ufficiali delle antiche tradizioni dei padri, molto rispettati ed entrando quindi, parte di loro, nel sinedrio. Erano laici e, almeno in teoria, potevano essere di qualunque stato sociale, salendo grazie allo studio, come pur era per i farisei, a differenza dei sadducei che erano tali per ragioni ereditarie. Luca definisce gli scribi dottori della legge poiché si rivolge a gentili e non vuole che essi fraintendano ritenendoli semplici segretari scrivani. Sadducei, farisei e scribi costituiscono ormai, e da tempo, la élite politico- religiosa in Israele durante la predicazione di Cristo. Questi è un grave pericolo per il loro potere, come meglio vedremo al paragrafo seguente; così essi decidono di toglierlo di mezzo."

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE DELL'OPERA

Ovviamente varie edizioni della Bibbia e relativi commenti e introduzioni ai Libri; soprattutto:

* La Bibbia, Edizioni Àncora, 1974;

* La Bibbia di Gerusalemme, EDB Edizioni Dehoniane Bologna, 1986;

* Vangeli e Atti degli apostoli con note a fronte, Edizioni Paoline, 1997;

* Lettere e Apocalisse, idem, 1998.

* AA. VV., a cura di Giovanni Filoramo e Daniele Menozzi, Storia del Cristianesimo, vol. I, Gius. Laterza & Figli, 1997.

* AA.VV, a cura di Alexander, David e Pat, Guida alla Bibbia, Edizioni Paoline, 1980.

* AA. VV., Quel Gesú, Cittadella Editrice, 1973.

* AA. VV., Il Cristianesimo questo sconosciuto, 2 volumi, Didaskaleion di Torino, 1996.

* AA.VV., In principio – La comunicazione nella Bibbia, Edizioni San Paolo, 1995.

* Abbagnano, Nicola, Storia della Filosofia, UTET, 1974.

* Aron, Robert, Gli anni oscuri di Gesú”, Mondatori, Oscar uomini e religioni,1987

* Baima Bollone, Pier Luigi, Alla ricerca delle reliquie di Cristo – L’impronta di Dio (solo per i primi due capitoli e per le fotografie di reperti archeologici), Arnoldo Mondadori S.p.A., 1985.

* Bouquet, Alan, Breve storia delle religioni, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., 1972.

* Canfora, Luciano, Storia della Letteratura greca, Gius. Laterza & Figli, 2001, cap. XXXVII, I libri del Nuovo Testamento, pp. 648 – 662.

* Citati, Pietro, La luce della notte – I grandi miti della storia del mondo, Mondadori S.p.A., 1996.

* De Lubac, Henry, Il dramma dell’umanesimo ateo, Editrice Morcelliana, 1988.

* Dianich, Severino, La casa del popolo di Dio, Edizioni San Paolo, 1993.

* Duquesne, Jacques, Il vero Dio di Gesú, Piemme, 1998.

* Flusser, David, La setta di Qumran, Piemme, 1998.

* Forte, Bruno, Piccola introduzione alla Fede, Edizioni Paoline, 1992.

* Franzen, August, Breve storia della Chiesa, Editrice Queriniana, 1987.

* Geymonat, Ludovico, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti, 1975.

* Keller, Werner, La Bibbia aveva ragione, Aldo Garzanti Editore, 1979.

* Laurentin, René, Dio esiste, ecco le prove, Piemme, 1997.

* Marinelli, Emanuela, La Sindone, un’immagine “impossibile”,  (per le pagine dedicate alla presunta morte apparente di Gesú) Edizioni San Paolo, 1996.

* Martin J. e Mehrgard D. commento alla tavola 2: Comunità cristiane nei secoli I e II; e Martin J., commento alla tavola 3: Strutture comunitarie del cristianesimo primitivo; in Atlante Universale di Storia della Chiesa, Piemme, Libreria Editrice Vaticana, 1991.

* Moraldi, Luigi, (a cura di), Vangeli apocrifi, Piemme, 1996

* Poupard, Paul, La nuova immagine del mondo, Piemme, 1996.

* Quasten, Johannes,  (vol. I e II) e AA. VV., principalmente Angelo di Berardino - Institutum Patristicum Augustinianum - (vol. III): Patrologia, Marietti; Vol. I 1971, Vol. II 1973; Vol. III 1978.

* Quesnel, Michel, La storia dei Vangeli, Edizioni Paoline, 1991.

* Ricciotti Giuseppe, Vita di Gesú Cristo, Oscar Mondadori, vol. I, 1974, pagine da 182 a 189 relative al censimento di cui dice Luca e alla stele di Ankara, pagine gentilmente messemi a disposizione, per la prima stesura del saggio, dal professor don Pier Giuseppe Ottaviano. In séguito ho potuto leggere il saggio intero, ripubblicato in un unico, spesso volume nella collana Religioni - Oscar saggi Mondadori. Nonostante alcune parti ormai obsolete, in quanto l’Autore non poteva tener conto di ritrovamenti successivi, ne consiglio vivamente la lettura a chi desideri approfondire l’argomento Gesú.

* Russell, Bertrand, Storia della filosofia occidentale, Longanesi & C., 1977.

* Schuré, Eduard, I grandi iniziati, Gius. Laterza e figli, 1906.

* Thiede, C.P. e D’Ancona, Matthew, Testimone oculare di Gesú, Piemme, 1996.

* Devono inoltre essere citati i colloqui dell’autore sul Cristianesimo, per cinque anni, con padre Charles Jegge de “Il Prietto monastico” e inoltre lettere all’autore stesso di padre Charles con riflessioni e il testo dattiloscritto della sua conferenza in tre giornate “Santità, amore della bellezza”.

 

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PIANO DELL’OPERA

 

Prefazione                                                                            

 

I     A proposito dell’analfabetismo cristiano           

        Non fate agli altri…                                                

        “Perché non possiamo non dirci cristiani”          

 

II     A proposito di documenti storici cristiani           

 

III    Sulla risurrezione                                               

        Nulla si crea, nulla si distrugge                           

IV   Sulla storicità di Gesú                                              

        Sadducei, farisei, scribi                                          

        Cause e ambiente delle accuse a Gesú         

        Il processo di fronte al sinedrio                                  

        Il processo davanti a Ponzio Pilato                        

        Date di nascita e di morte di Gesú                      

        L’equivoco e la delusione degli apostoli            

 

V   Gli apostoli testimoni oculari                              

 

VI  Gli apostoli volevano ingannare? Scuole critiche     

        Che interesse avevano gli apostoli?                   

        Scuola cristiana tradizionalista

          (storico-critica) e criteri di storicità

  gesuanica                                                    

        Scuola razionalista (o critica)                               

        Scuola mitica                                                      

        Storia comparata delle religioni                            

        Scuola dell’Università Ebraica di Gerusalemme    

 

VII  Persecuzioni – Documenti non cristiani e cristiani postapostolici                                                             

 

VIII Sì in buona fede; ma gli apostoli si sono ingannati?               

Il trafugamento del cadavere di Gesú  e le allucinazioni degli apostoli                            

L’equivoco                                                                 

Lo scambio di tomba                                                          

Il sosia                                                                    

Morte apparente di Gesú                                               

In sintesi                                                                           

 

IX    Conservazione della predicazione apostolica        

        I testimoni della Risurrezione iniziano

 a morire. Che fare?                                            

 

X     La fissazione del Canone                                      

        Ma che prova c’è che la Bibbia è la Parola di

Dio?                                                                     

        Dio ha materialmente dettato il Testamento?     

        Fidarsi dei Libri astoricamente?                           

        Con l’occasione: il battesimo è un

  rito magico – superstizioso?                                   

        Tornando al Canone muratoriano                       

        Criteri seguiti per stabilire la canonicità         

 

XI    Cristo, unico rivelatore                                   

        Ma non tutte le bibbie sono uguali                        

        La Chiesa è garante (secondo ragione)

ma è Cristo che rivela (secondo fede)                 

 

XII  Il Cristianesimo è una speciale religione  rivelata    

 


                
                        

PREFAZIONE E PRIMI PARAGRAFI             TOP

 

Questo è un libro di divulgazione storica, non di catechesi, e intende rivolgersi a tutti, anche se scritto da un cristiano. Ciò non significa che non si tratti di un’opera di parte: sfido chiunque ad essere veramente oggettivo. Contiene notizie ignote a molti, pure a credenti; o meglio, conosciute in modo superficiale e distorto, che è peggio: lo so perché sono ormai anni che tengo conferenze sul vero Cristianesimo e colgo la meraviglia di presenti.

Negli ultimi due millenni, accanto a innumerevoli casi di carità cristiana, tante cattiverie personali sono state commesse da membri della Chiesa, chierici e laici, e collettive, come guerre sante e roghi accesi con pari diligenza da cattolici e da protestanti, nemmeno che il Precetto fosse stato “Odierai il nemico” e Dio avesse considerato come suoi nemici personali gli avversari ideologici di quei fedeli. Pur se non fu minore il numero di atrocità compiute da non credenti e da membri di altre religioni, essendo essenziale messaggio cristiano l’Amore-Dio molti oggi rifiutano il Cristianesimo “incoerente” e oscurantista”: il male appare sùbito e resta nella memoria, il bene no. È una grandine di accuse alla Chiesa”, peraltro in parte ingiuste. Eppure, quanto sostanzialmente importa è: O Cristo è realmente esistito, morto e risorto e, dunque, ci ha salvati, oppure no. Se sì, ha sempre senso essere cristiani, anche se molti credenti usarono e usano la loro libertà per fare il male invece del bene; altrimenti, non ha mai avuto senso. Non è affatto una novità; già l’apostolo Paolo affermava nella I Lettera ai Corinzi, la quale è parte del Nuovo testamento e dunque, per i credenti, Parola di Dio, che senza reale Risurrezione non c’è Cristianesimo: “Se Cristo non è risuscitato, allora è inutile la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1 Cor 15, 14); o, per dirla altrimenti, esso diventa una delle tante religioni che l’uomo ha immaginato, meramente consolatorie e utili all’ordine sociale. Per questo, con l’Illuminismo e il Positivismo, i critici del Cristianesimo avevano in primo luogo cercato di abbattere la realtà della Risurrezione e, parte di loro, la storicità stessa di Gesú. Su questa via s’era posto inoltre chi, sbagliando, aveva creduto di salvare il Cristianesimo dagli attacchi di quei razionalisti eliminando il Gesú storico e mantenendo solo un Cristo della fede.

Questo mio lavoro riguarda due periodi storici, anche se non è diviso in due parti: il tempo di Gesú e della prima Chiesa e l’epoca che va dall’Illuminismo ad oggi, con le sue varie scuole di contestazione al Cristianesimo. Contempla, in un confronto con quei critici, la realtà storica, o meno, di Gesú e quella della predicazione apostolica sulla sua risurrezione; inoltre, la concreta formazione dei libri del Nuovo testamento, opere letterarie, non dettate dall’Alto, anche se, senza contraddizione come vedremo, ispirate da Dio, in un tempo, all’incirca tra gli anni 50 e 90, nel quale, almeno in parte, i testimoni oculari di Cristo risorto erano ancora vivi e attivi nella comunità cristiana. Ipotesi contraria, ancor oggi di moda, è che questi testi siano stati scritti molto tempo dopo, quando erano ormai morti da un pezzo i testimoni e smentite non erano più possibili.

Avevo scritto nel 1997 una prima stesura del saggio, auto-stampandola e donandola nel dicembre di quello stesso anno a un centinaio di amici e di colleghi scrittori, cristiani e no. Umiltà e modestia sono cose diverse. È virtù cristiana l’umiltà, cioè il non credersene, sapendo che si tratta di doni dello Spirito Santo, ma, insieme, non sminuendosi, ché si tratterebbe di disprezzo per quei doni e di offesa alla verità che si conosce; non è invece un valore la modestia, sempre timorosa del giudizio altrui e che a volte, addirittura, si fa complice silente dei tagliapanni; perciò non nascondo che i commenti di quei lettori erano stati positivi: tra i più graditi, quelli di Giorgio Bárberi Squarotti e di Vittorio Messori.

In séguito, avendo incontrato nuova bibliografia per mie conferenze sull’argomento, ho integrato un poco il saggio e l’apparato delle note; e adesso ho deciso di fare una scommessa, presentare quest’opera su Gesú a un pubblico maggiore: un saggio che vuole solo introdurre l’argomento Cristianesimo, secondo un approccio storico, avendo a mente i metodi dell’antica scuola cristiana  di Antiochia, di cui parlerò.

                                                                                                                     Guido Pagliarino

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I          A PROPOSITO DELL’ANALFABETISMO CRISTIANO

 

 

“Sicuramente il Buddismo è superiore, non ha le ingenuità del Cristianesimo”;

“Cristo?! Un mito come Osiride o Dioniso”;

Gesú è personaggio storico, ma era solo un buon rabbino”;

“L'Apocalisse, come d'altronde i Vangeli, è scritta al più presto nel II o III secolo”:

ecco alcune affermazioni che ho colto in trasmissioni televisive.

“La cometa di Natale avrebbe bruciato la capanna; anzi, avrebbe distrutto il mondo: invenzioni cristiane di prima di Galileo!”: lettera d'un laureato in fisica a un giornale.

“Il battesimo? Un rito magico-superstizioso”: voce dalla sala, alla presentazione d'un libro.

“Il Cristianesimo? Miti rivisitati!”: sentenza d'un giovane studente di Scienza delle Comunicazioni dopo aver letto un saggio sui miti e non aver letto niente di Cristianesimo. Chi sa che dotti articoli scriverà.

Potrei continuare a lungo.

Non fate agli altri…

 

Ho voluto leggerlo anch'io quel saggio, del Citati[1], e vi ho trovato, fra l'altro, un'assoluta ammirazione per il Tao, il cui libro Chuang-tzu è per l'autore unico e meraviglioso. Benissimo, libertà prima di tutto; però, libertà vuol anche dire informarsi bene. Quando in un capitolo successivo l'autore arriva al confronto tra l'antica cultura cinese e il Cristianesimo condotto in Cina dal missionario Matteo Ricci, fine XVI secolo, eccolo affermare che il principio cristiano (?) “Non fate agli altri quanto non vorreste fosse fatto a voi” era già familiare ai cinesi perché si trovava nei Dialoghi di Confucio. Già, ma se è per questo, quel principio si coglie anche nell’Antico testamento, ad esempio nel Libro di Tobia, e non è altro che la sintesi dei Comandamenti dal quarto al decimo che riguardano il comportamento verso gli altri esseri umani[2].

 

    Parla Tobi, padre di Tobia, raccomandando al figlio: “Non fare a nessuno ciò che non piace a te…” (Tb 4, 15); ma l’insieme delle raccomandazioni è persino più alto, ad esempio: “Dei tuoi beni fa’ elemosina, non distogliere mai lo sguardo dal povero, così non si leverà da te lo sguardo di Dio”(Tb 4, 7); anche se queste raccomandazioni - siamo ancora in un tempo precedente Gesú, attorno al III / II secolo a.C. - non sono a favore dei peccatori, ma solo dei giusti: “Versa il tuo vino e deponi il tuo paniere sulla tomba dei giusto, non darne invece ai peccatori” (Tb 4, 17). Altro esempio, il Levitico, capitolo 19 versetto 17, impone: “Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello”. Si osservi che il noto comando di Gesù che leggiamo nel Vangelo secondo Matteo, Ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,19).”, si trova già nel medesimo Levitico (19, 18): “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso. Io sono il Signore”; tuttavia, neppure in questo Libro si arriva al precetto di amare il nemico. Prossimo da amare è ancor solo l’amico o al più l’estraneo del proprio paese, non l’avversario. Secondo il Siracide 12, 1 – 7, a chi pecca non va dato aiuto: “… / Da’ al pio e non aiutare il peccatore. / Benefica il misero e non dare all’empio, / impedisci che gli diano il pane e tu non dargliene, /…”. Si tratta insomma, di fondo, del principio che vige in ogni società organizzata, per il quale chi crea disordine non deve essere trattato alla pari di chi agisce rispettando la libertà altrui, ma anzi dev’essere perseguito. Per il Salmo 139, 21 seg, il “nemico” di Dio è pure nemico del credente: “Non odio forse, Signore, quelli che ti odiano / e non detesto i tuoi nemici? / Li detesto con odio implacabile / come se fossero miei nemici”: così come nelle varie altre società organizzate c’è odio per coloro che sono considerati nemici della patria, esterni e interni, così è nell’antico Israele; e teniamo presente che questo è uno stato teocratico, di cui il vero e solo re è Dio.

 

Non si tratta soltanto degli antichi ebrei e del confucianesimo, anche nelle altre culture si trova il precetto di non far male al prossimo - ma non quello di amare tutti - e persino, in alcune di esse, di averne compassione: si veda, ai tempi di Gesú e degli apostoli, l’etica di Seneca col suo diritto umano. Era ed è un generale principio di convivenza, base della morale, essenza di quella che si usa chiamare la legge naturale - che per i credenti è comunque impressa da Dio -; però, e qui viene il bello, non è ancora un principio cristiano.

Cristo, secondo il Vangelo di Giovanni, ormai vicinissimo alla propria crocifissione, rende l’ordine d’amare il prossimo assolutamente più alto, chiedendo ai discepoli d’amarsi “come io vi ho amati” (cioè, addirittura, fino a morirne), in quanto “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13); si noti che, poiché dal Nuovo testamento risulta chiaramente, sempre per bocca di Cristo, che tutti, peccatori e no, sono amatissimi figli di Dio, per amici si devono intendere tutti, compresi i “nemici”; d’altronde Gesú stesso, morente, prega dalla croce perché i suoi persecutori siano perdonati. Secondo gli evangelisti Matteo e Luca, Cristo aveva già affermato chiaramente: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico[3]; ma io vi dico: amate i vostri nemici, e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti…[4]”; “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano”[5]. Solo nella pienezza dei tempi di cui parla il Nuovo testamento, col Cristo, giunge la rivelazione finale di Dio con l’insegnamento che non basta non fare il male, ma che occorre comportarsi come, nella nota parabola, il buon samaritano verso l’ebreo ferito dai ladri – ebrei e samaritani erano avversari –, bisogna soccorrere il prossimo e addirittura amare il nemico, se si vuol essere cristiani.

Non era “Non fate il male” il principio cristiano che padre Matteo Ricci aveva portato in Cina, ma “Fate il bene e fatelo anche ai nemici, considerando ogni essere umano, anche il più socialmente basso, come eguale figlio di Dio e fratello di Gesú”, atteggiamento questo sicuramente distante dalla cultura cinese: e dalla nostra, in cui sono tornati a contare i ruoli sociali e non la persona in sé: il concetto di persona nasce col Cristianesimo[6]. Nello stesso capitolo, poco oltre, Pietro Citati afferma che il successo di padre Ricci e dei suoi era stato scarso perché i cinesi non ponevano essenziali differenze fra l'Alto e il basso mentre i missionari cristiani credevano in un Dio trascendente. Piano, i cristiani credevano e credono a Dio incarnato in Gesú vero uomo. Semmai sono gli ebrei e i maomettani che credono alla sola trascendenza di Dio, e pure per i testimoni di Geova[7] è così: per questi ultimi, Gesú non è Dio coeterno e consustanziale al Padre, ma solo il primo dei creati[8].

 

“Perché non possiamo non dirci cristiani”

 

Credo che se fosse ancora su questa terra, l'agnostico Croce tentennerebbe il capo, lui e il suo breve saggio Perché non possiamo non dirci cristiani”cristiani in senso culturale – , lui che, in polemica con Bertrand Russell, anche se a sua volta non credente non esprimeva opinioni superficiali e considerava la civiltà e l’etica occidentali frutti, per notevole parte, del Cristianesimo, di quel Cristianesimo che non si studia. Ha scritto a suo tempo il teologo francese M. D. Chenu, nella premessa alla seconda edizione de “La teologia del XII secolo[9]: “Se dovessi rifare quest’opera, darei assai maggiore attenzione alla storia delle arti, della letteratura, e di tutte le arti plastiche, perché sono non solamente illustrazioni estetiche ma dei veri luoghi teologici”. Capovolgendo: ci sono oggigiorno persone che non sanno riconoscere il soggetto d'un dipinto religioso, anche quando sia primario; che credono che carità significhi elemosina, non amore per Dio e per il prossimo; e c’è chi pensa che l’amore cristiano sia un fatto sentimentale, non il frutto della buona volontà, e di non avere dunque colpa a non amare ogni prossimo. C’è…

Se siete tra quei battezzati che hanno smesso di studiare il Cristianesimo fin da bambini, dal catechismo per la prima comunione; o addirittura, non essendo cristiani, non ne sapete che quanto ne dicono giornali e televisioni; peggio ancora, se l'avete conosciuto solo su opere come il “Dizionario filosofico” di Voltaire; e se pensate che prima di parlare d'un argomento sia meglio saperlo, almeno di base: vogliamo provare a conoscere, sia pur minimamente, qualcosa sui suoi fondamenti storici e su… vi annoio di già?!

Se non vi va di proseguire, pazienza: libertà prima di tutto. Sappiate comunque che non ho intenzione di convertire nessuno, e neppure ne sarei capace: è cristiano il rispondere - per quel poco che si ritiene di conoscere - a chi vuole sapere, non l’imporre. Dio è anche libertà assoluta e ci ha creati liberi. Non bisogna confondere catechismo con studio del Cristianesimo: il primo riguarda il credente che desidera approfondire la sua fede, il secondo è indispensabile alla cultura di tutti.

Se vi va, vi assicuro che non vi farò perdere molto tempo. Forse, neppure vi annoierò. Questo è un breve saggio di uno che, come tanti, del Cristianesimo aveva in testa solo qualche scheggia, che lo riteneva fantasia e l'aveva abbandonato per cose che riteneva più serie; di uno che se n'era staccato per molti anni restando privo di questa essenziale parte della cultura occidentale.

Intendo dunque rivolgermi a non credenti e a credenti e, tra questi, in particolar modo a quelli che fin da bambini non hanno più approfondito e, tante volte, stanno zitti davanti allo sdottoreggiare anticristiano di certi intellettuali che, per primi, del genuino Cristianesimo sanno veramente poco, e male. Naturalmente, questa breve opera sarà solo un passetto; c'è ben più da conoscere per arrivare a una conoscenza sufficiente: per voi, per me, “la ricerca non ha fine”, come scriveva quello che considero il più grande dei teorici della scienza, Karl R. Popper.

Visto che, ovviamente, mi riferirò soprattutto a documenti storici cristiani, che certuni contestano perché “sono di parte”, per prima cosa spiegherò perché si tratta d’un pregiudizio.

 

II         A PROPOSITO DI DOCUMENTI STORICI CRISTIANI

 

 

A proposito di documenti cristiani, cominciando dai libri del Nuovo testamento, non è giusto né razionale nutrire spontaneamente per essi minor fiducia che per le fonti storiche non cristiane: si consideri, oltretutto, che per i fatti narrati gli uni sono in sostanziale accordo cogli altri. La buona fede degli autori deve sempre essere ammessa fino a prova contraria, cioè all'eventuale ritrovamento di convincenti prove opposte. Ad esempio, nessun documento ha dimostrato falso il libro di Luca Atti degli apostoli e, dunque, è bene pensare che la vita della primissima Chiesa si sia svolta, in sostanza, così come dice l’autore[10]. Oltretutto, se si assumesse l’atteggiamento contrario non ci sarebbero più testimonianze per la storia antica, in quanto tutte le relative fonti sono apologie, sono di parte, come gli storici sanno. Per gli autori antichi contava soprattutto mettere in evidenza la figura della persona che era stata protagonista di un avvenimento. In certi casi si trattava addirittura di memoriali degli stessi protagonisti, come i due libri di Giulio Cesare sulla guerra gallica e sulla guerra civile che nessuno però esclude dalle fonti storiche. Essere di parte non significa, per ciò solo, essere in mala fede, inventare. D’altronde anche per la storia più recente è possibile la manipolazione, la malafede, per esempio montando in un certo modo un film documentario per cambiare la cronologia degli eventi; ma anche in questi casi si deve dimostrarlo, che l’autore mente. Non sarebbe atteggiamento culturale ma viscerale supporre pregiudizialmente la mala fede dei documenti di autori cristiani solo perché non si accetta il Cristianesimo. Si noti inoltre che le copie di documenti neotestamentari in nostro possesso, le più antiche del II e III secolo, sono le più vicine nel tempo ai fatti che narrano rispetto a tutte le altre finora rinvenute: di originali, a parte documenti archeologici, non ce ne sono più. Ad esempio, il più antico codice relativo a Virgilio, il Veronensis, contenente frammenti delle Bucoliche, delle Georgiche e dell’Eneide, è solo del IV secolo; cinque secoli separano Tito Livio dalle più vecchie copie di sue opere giunte a noi; circa novecento anni dividono Cesare dalle più antiche trascrizioni rinvenute dei suo libri; e quasi millecinquecento anni separano il tempo di Aristofane e Sofocle dai più vecchi manoscritti di loro lavori in nostro possesso. Inoltre, i documenti neotestamentari sono assai più numerosi: ne sono stati trovati circa cinquemila. Tra questi, il più antico è il P52 Rylands, un frammento del 120 / 130 circa di 6 centimetri per 9, contenente alcuni versetti del Vangelo secondo Giovanni[11]: soltanto novanta – cento anni lo separano da quanto narrato. Possediamo poi alcuni brani scritti attorno all’anno 200, cioè il documento P64 Magdalen – ma questo potrebbe essere di molto più antico: si veda oltre –, il P65 Bodmer e il P67 Fondazione San Luca. Del III secolo e meno incompleto, abbiamo il P45 Chester_Beatty, composto da una trentina di piccoli fogli contenenti lunghi brani e capitoli interi dei Vangeli. Tutti i citati manoscritti sono su papiro[12], supporto non molto caro ma facilmente deteriorabile. Documenti rimasti più integri furono composti dal IV secolo sulla più resistente pergamena, quando alla Chiesa, dal tempo di Costantino, fu possibile accumulare beni e dunque, tra l’altro, avvalersi regolarmente di quest’assai più costosa base di scrittura; tra altri documenti, e di gran valore per la ricerca, possediamo, del IV secolo, il Vaticanus, che contiene quasi tutta la Bibbia, e il Sinaiticus, con il Nuovo testamento pressoché completo, mentre i fogli sull’Antico sono in gran parte persi. Del V secolo e ancor più importanti perché riproducono l’intero Testamento, abbiamo, sempre tra altri, l’Alexandrinus British Museum, il Codex Ephraemi Biblioteca Nazionale di Parigi e il Codex Bezae Cambridge (in latino oltre che in greco).

        Veramente alcuni brani neotestamentari sono stati datati ancor più prossimi ai fatti, precisamente al fatto    Gesú,  documenti ritenuti da alcuni studiosi della metà circa del I secolo.

Anzitutto, un frammento classificato 7Q5, contenente tredici lettere ancora leggibili, su più righe, che apparterrebbero al capitolo 6, versetti 52 - 54 del Vangelo di Marco i quali, nella loro interezza, recitano: “…perché non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito. - Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret. Appena scesi dalla barca, la gente lo riconobbe”. Per primo, nel 1972, José O’ Callaghan suggerì questa coincidenza, e pure che un altro frammento ritrovato, il 7Q4, fosse riferibile al Nuovo testamento e, precisamente, che si trattasse di caratteri della I Lettera di Paolo a Timoteo, capitolo 4, versetto 1; questa seconda ipotesi è stata da quasi tutti contestata, però, secondo lo studioso e docente Harald Riesenfeld, luterano bultmanniano convertitosi al cattolicesimo, il frammento conterrebbe davvero caratteri della I Lettera di Paolo a Timoteo 4, 1, versetto che nella totalità dice: “Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche”. Pure l’ipotesi sul 7Q5 è stata da certuni contestata, ma ha ricevuto anche l’approvazione di non pochi studiosi. Il 7Q4 e il 7Q5 fanno parte dei Manoscritti del Mar Morto trovati in grotte a Qumran fra il 1947 e il 1955 e custoditi a Gerusalemme, e sono, in ordine di ritrovamento, il quarto e il quinto documento scoperti nella settima grotta, grotta-custodia chiusa come altre della zona, per preservare dai romani quegli e altri scritti, prima del 68. Questo è l'anno dell’annientamento di Qumran da parte della legione Fretensis, in seguito alla rivolta ebraica che avrebbe portato nel 70 alla distruzione di Gerusalemme e del tempio.

Inoltre abbiamo tre frammenti, costituenti il già citato papiro P64 custodito nel collegio universitario Magdalen, scoperti in Egitto alla fine del secolo XIX da Charles Bousfield Huleatt e che riportano sicuramente frasi del Vangelo secondo Matteo, capitolo 26, versetti dal 6 al 16 in cui sono descritti l’unzione di Gesú in casa del lebbroso Simone e il tradimento di Giuda Iscariota. Secondo il ricercatore Carsten Peter Thiede, i frammenti P64 Magdalen furono scritti fra l’anno 40 e il 70. Per questo documento però non c'è, come per il 7Q4 e il 7Q5, un fatto ben datato, la distruzione di Qumran: come avevo già indicato, altri ricercatori avevano a suo tempo, anno 1950, stabilito della fine del II secolo il P64 Magdalen[13].

 

III       SULLA RISURREZIONE 

 

 

È naturale partire da Gesú crocifisso e, per i credenti, risorto: come purtroppo non tutti, e neppure tutti i cristiani, sanno con chiarezza, il Cristianesimo si fonda infatti essenzialmente sulla risurrezione di Cristo. Non sui dieci comandamenti come tante volte si ascolta, pure da qualche cristiano non informato: su Gesú risorto. Non, anche se meno imprecisamente, sull’ama Dio e ama e servi il prossimo compreso il nemico. Vi sono non credenti che accolgono questo principio e cercano di metterlo in pratica. Come meglio vedremo, secondo il Cristianesimo[14] anch'essi sono in Dio, anche se per loro Gesú è solo un uomo che impartisce e applica questo comandamento nuovo, “uomo tra i migliori se non il migliore” come ho sentito dire da una persona giusta e atea, “e di cui si può quindi cercare di seguire l'esempio”. Già, ma Gesú dice di essere “la via, la verità e la vita”, si proclama espressamente Dio-Figlio di Dio e se non lo fosse si tratterebbe d’un pazzo oppure d’un millantatore bugiardo; sarebbe un uomo dappoco, non il migliore degli uomini. Perché sia il migliore deve essere anche Dio; e posso ora dire più precisamente che il Cristianesimo si fonda sul Cristo che, risorgendo, dà la garanzia di essere Dio e che tutto quanto ha detto e fatto viene da Dio.

 

 

Nulla si crea, nulla si distrugge

 

Nel suo “Dizionario filosofico”, Voltaire ironizza sulla risurrezione del corpo, che per i cristiani è dogma. Fa l’esempio dei morti in guerra, i cui cadaveri sono sepolti nei campi di battaglia. Sulle loro spoglie, col tempo, crescono piante, vengono coltivate messi che acquisiscono la materia dei cadaveri. Uccelli ed essere umani si cibano di quei frutti, poi i secondi della carne di quegli animali, acquistando così nel proprio corpo le molecole di altri esseri umani defunti. Come mai risorgeranno i corpi, se la loro materia appartiene a più persone? conclude in sostanza, irridendo, il grande filosofo.

Bisogna precisare che cosa il cristiano - se conosce il Nuovo testamento - intende per corpo risorto. Checché ne pensasse Voltaire, non intende la risurrezione di queste nostre molecole. San Paolo, nella I Lettera ai Corinzi[15], dice chiaramente che, a imitazione di quello di Gesú risorto, il nostro corpo risorgerà in altra forma, in forma gloriosa spirituale; precisamente, che il nostro corpo animale-materiale nonché psichico perché dotato di ragione-io, si trasformerà in corpo glorioso e pneumatico (spirituale) eterno. Lo dice dopo aver premesso un’allegoria, che si semina un chicco e sorge una spiga, la quale è in un certo senso quel seme ma non è più, in senso stretto, il chicco che è marcito: nessuno di quelli della spiga è il chicco seminato ma, in nuova forma gloriosa, quella spiga intera è il seme marcito[16].

È bene dunque non studiare il Cristianesimo sul “Dizionario filosofico” di Voltaire il quale, evidentemente, nell'irridere alla risurrezione basandosi sul principio del nulla si crea e nulla si distrugge, non conosceva il Nuovo testamento. Ancor oggi si sente dire che, di fronte alle scoperte della scienza, il dogma della risurrezione di Cristo non è più sostenibile. Invece la chimica e la fisica non c’entrano, non ha nessuna importanza che la materia del corpo di un sepolto finisca in quella di una pianta e che esseri umani mangino i suoi frutti e incorporino quella materia: per il Cristianesimo ciò che risuscita è la nostra persona in forma sublime, gloriosa spirituale; è qualcosa che ha a che fare con l’inconoscibile Trascendente: Gesú, per chi crede ai Vangeli, nel presentarsi risorto agli apostoli entra in un luogo chiuso, passa per così dire attraverso i muri, ciò che sarebbe inconciliabile col principio dell’impenetrabilità dei corpi se il trascendente Risorto fosse fatto di immanente materia. Come può essere la materia trascendente? Il cristiano è curioso di sperimentarlo quando sarà il momento. Per adesso sta a ciò che dice Paolo e a quanto afferma la I Lettera di Giovanni[17]: “Fin da ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora rivelato quel che saremo. Sappiamo che quando egli si sarà manifestato, saremo simili a lui, poiché lo vedremo come egli è”


[omissis]
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