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GESÚ, NATO NEL 6 “A.C.”, CROCIFISSO NEL 30

Un approccio storico al Cristianesimo

Saggio di Guido Pagliarino

Proprietà letteraria riservata © Guido Pagliarino 

 

PIANO DELL’OPERA

 

Prefazione                                                                            

 

I     A proposito dell’analfabetismo cristiano           

        Non fate agli altri…                                                

        “Perché non possiamo non dirci cristiani”          

 

II     A proposito di documenti storici cristiani           

 

III    Sulla risurrezione                                               

        Nulla si crea, nulla si distrugge                           

IV   Sulla storicità di Gesú                                              

        Sadducei, farisei, scribi                                          

        Cause e ambiente delle accuse a Gesú         

        Il processo di fronte al sinedrio                                  

        Il processo davanti a Ponzio Pilato                        

        Date di nascita e di morte di Gesú                      

        L’equivoco e la delusione degli apostoli            

 

V   Gli apostoli testimoni oculari                              

 

VI  Gli apostoli volevano ingannare? Scuole critiche     

        Che interesse avevano gli apostoli?                   

        Scuola cristiana tradizionalista

          (storico-critica) e criteri di storicità

  gesuanica                                                    

        Scuola razionalista (o critica)                               

        Scuola mitica                                                      

        Storia comparata delle religioni                            

        Scuola dell’Università Ebraica di Gerusalemme    

 

VII  Persecuzioni – Documenti non cristiani e cristiani postapostolici                                                             

 

VIII Sì in buona fede; ma gli apostoli si sono ingannati?               

Il trafugamento del cadavere di Gesú  e le allucinazioni degli apostoli                            

L’equivoco                                                                 

Lo scambio di tomba                                                          

Il sosia                                                                    

Morte apparente di Gesú                                               

In sintesi                                                                           

 

IX    Conservazione della predicazione apostolica        

        I testimoni della Risurrezione iniziano

 a morire. Che fare?                                            

 

X     La fissazione del Canone                                      

        Ma che prova c’è che la Bibbia è la Parola di

Dio?                                                                     

        Dio ha materialmente dettato il Testamento?     

        Fidarsi dei Libri astoricamente?                           

        Con l’occasione: il battesimo è un

  rito magico – superstizioso?                                   

        Tornando al Canone muratoriano                       

        Criteri seguiti per stabilire la canonicità         

 

XI    Cristo, unico rivelatore                                   

        Ma non tutte le bibbie sono uguali                        

        La Chiesa è garante (secondo ragione)

ma è Cristo che rivela (secondo fede)                 

 

XII  Il Cristianesimo è una speciale religione  rivelata    

 

Bibliografia principale                                          

 

PREFAZIONE E PRIMI PARAGRAFI

*

PREFAZIONE DELL’AUTORE

 

 

Questo è un libro di divulgazione storica, non di catechesi, e intende rivolgersi a tutti, anche se scritto da un cristiano. Ciò non significa che non si tratti di un’opera di parte: sfido chiunque ad essere veramente oggettivo. Contiene notizie ignote a molti, pure a credenti; o meglio, conosciute in modo superficiale e distorto, che è peggio: lo so perché sono ormai anni che tengo conferenze sul vero Cristianesimo e colgo la meraviglia di presenti.

Negli ultimi due millenni, accanto a innumerevoli casi di carità cristiana, tante cattiverie personali sono state commesse da membri della Chiesa, chierici e laici, e collettive, come guerre sante e roghi accesi con pari diligenza da cattolici e da protestanti, nemmeno che il Precetto fosse stato “Odierai il nemico” e Dio avesse considerato come suoi nemici personali gli avversari ideologici di quei fedeli. Pur se non fu minore il numero di atrocità compiute da non credenti e da membri di altre religioni, essendo essenziale messaggio cristiano l’Amore-Dio molti oggi rifiutano il Cristianesimo “incoerente” e oscurantista”: il male appare sùbito e resta nella memoria, il bene no. È una grandine di accuse alla Chiesa”, peraltro in parte ingiuste. Eppure, quanto sostanzialmente importa è: O Cristo è realmente esistito, morto e risorto e, dunque, ci ha salvati, oppure no. Se sì, ha sempre senso essere cristiani, anche se molti credenti usarono e usano la loro libertà per fare il male invece del bene; altrimenti, non ha mai avuto senso. Non è affatto una novità; già l’apostolo Paolo affermava nella I Lettera ai Corinzi, la quale è parte del Nuovo testamento e dunque, per i credenti, Parola di Dio, che senza reale Risurrezione non c’è Cristianesimo: “Se Cristo non è risuscitato, allora è inutile la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1 Cor 15, 14); o, per dirla altrimenti, esso diventa una delle tante religioni che l’uomo ha immaginato, meramente consolatorie e utili all’ordine sociale. Per questo, con l’Illuminismo e il Positivismo, i critici del Cristianesimo avevano in primo luogo cercato di abbattere la realtà della Risurrezione e, parte di loro, la storicità stessa di Gesú. Su questa via s’era posto inoltre chi, sbagliando, aveva creduto di salvare il Cristianesimo dagli attacchi di quei razionalisti eliminando il Gesú storico e mantenendo solo un Cristo della fede.

Questo mio lavoro riguarda due periodi storici, anche se non è diviso in due parti: il tempo di Gesú e della prima Chiesa e l’epoca che va dall’Illuminismo ad oggi, con le sue varie scuole di contestazione al Cristianesimo. Contempla, in un confronto con quei critici, la realtà storica, o meno, di Gesú e quella della predicazione apostolica sulla sua risurrezione; inoltre, la concreta formazione dei libri del Nuovo testamento, opere letterarie, non dettate dall’Alto, anche se, senza contraddizione come vedremo, ispirate da Dio, in un tempo, all’incirca tra gli anni 50 e 90, nel quale, almeno in parte, i testimoni oculari di Cristo risorto erano ancora vivi e attivi nella comunità cristiana. Ipotesi contraria, ancor oggi di moda, è che questi testi siano stati scritti molto tempo dopo, quando erano ormai morti da un pezzo i testimoni e smentite non erano più possibili.

Avevo scritto nel 1997 una prima stesura del saggio, auto-stampandola e donandola nel dicembre di quello stesso anno a un centinaio di amici e di colleghi scrittori, cristiani e no. Umiltà e modestia sono cose diverse. È virtù cristiana l’umiltà, cioè il non credersene, sapendo che si tratta di doni dello Spirito Santo, ma, insieme, non sminuendosi, ché si tratterebbe di disprezzo per quei doni e di offesa alla verità che si conosce; non è invece un valore la modestia, sempre timorosa del giudizio altrui e che a volte, addirittura, si fa complice silente dei tagliapanni; perciò non nascondo che i commenti di quei lettori erano stati positivi: tra i più graditi, quelli di Giorgio Bárberi Squarotti e di Vittorio Messori.

In séguito, avendo incontrato nuova bibliografia per mie conferenze sull’argomento, ho integrato un poco il saggio e l’apparato delle note; e adesso ho deciso di fare una scommessa, presentare quest’opera su Gesú a un pubblico maggiore: un saggio che vuole solo introdurre l’argomento Cristianesimo, secondo un approccio storico, avendo a mente i metodi dell’antica scuola cristiana  di Antiochia, di cui parlerò.

                                                                                                                     Guido Pagliarino


 

I          A PROPOSITO DELL’ANALFABETISMO CRISTIANO

 

 

“Sicuramente il Buddismo è superiore, non ha le ingenuità del Cristianesimo”;

“Cristo?! Un mito come Osiride o Dioniso”;

“Gesú è personaggio storico, ma era solo un buon rabbino”;

“L'Apocalisse, come d'altronde i Vangeli, è scritta al più presto nel II o III secolo”:

ecco alcune affermazioni che ho colto in trasmissioni televisive.

“La cometa di Natale avrebbe bruciato la capanna; anzi, avrebbe distrutto il mondo: invenzioni cristiane di prima di Galileo!”: lettera d'un laureato in fisica a un giornale.

“Il battesimo? Un rito magico-superstizioso”: voce dalla sala, alla presentazione d'un libro.

“Il Cristianesimo? Miti rivisitati!”: sentenza d'un giovane studente di Scienza delle Comunicazioni dopo aver letto un saggio sui miti e non aver letto niente di Cristianesimo. Chi sa che dotti articoli scriverà.

Potrei continuare a lungo.

 

 

Non fate agli altri…

 

Ho voluto leggerlo anch'io quel saggio, del Citati[1], e vi ho trovato, fra l'altro, un'assoluta ammirazione per il Tao, il cui libro Chuang-tzu è per l'autore unico e meraviglioso. Benissimo, libertà prima di tutto; però, libertà vuol anche dire informarsi bene. Quando in un capitolo successivo l'autore arriva al confronto tra l'antica cultura cinese e il Cristianesimo condotto in Cina dal missionario Matteo Ricci, fine XVI secolo, eccolo affermare che il principio cristiano (?) “Non fate agli altri quanto non vorreste fosse fatto a voi” era già familiare ai cinesi perché si trovava nei Dialoghi di Confucio. Già, ma se è per questo, quel principio si coglie anche nell’Antico testamento, ad esempio nel Libro di Tobia, e non è altro che la sintesi dei Comandamenti dal quarto al decimo che riguardano il comportamento verso gli altri esseri umani[2].

 

    Parla Tobi, padre di Tobia, raccomandando al figlio: “Non fare a nessuno ciò che non piace a te…” (Tb 4, 15); ma l’insieme delle raccomandazioni è persino più alto, ad esempio: “Dei tuoi beni fa’ elemosina, non distogliere mai lo sguardo dal povero, così non si leverà da te lo sguardo di Dio”(Tb 4, 7); anche se queste raccomandazioni - siamo ancora in un tempo precedente Gesú, attorno al III / II secolo a.C. - non sono a favore dei peccatori, ma solo dei giusti: “Versa il tuo vino e deponi il tuo paniere sulla tomba dei giusto, non darne invece ai peccatori” (Tb 4, 17). Altro esempio, il Levitico, capitolo 19 versetto 17, impone: “Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello”. Si osservi che il noto comando di Gesù che leggiamo nel Vangelo secondo Matteo, Ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,19).”, si trova già nel medesimo Levitico (19, 18): “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso. Io sono il Signore”; tuttavia, neppure in questo Libro si arriva al precetto di amare il nemico. Prossimo da amare è ancor solo l’amico o al più l’estraneo del proprio paese, non l’avversario. Secondo il Siracide 12, 1 – 7, a chi pecca non va dato aiuto: “… / Da’ al pio e non aiutare il peccatore. / Benefica il misero e non dare all’empio, / impedisci che gli diano il pane e tu non dargliene, /…”. Si tratta insomma, di fondo, del principio che vige in ogni società organizzata, per il quale chi crea disordine non deve essere trattato alla pari di chi agisce rispettando la libertà altrui, ma anzi dev’essere perseguito. Per il Salmo 139, 21 seg, il “nemico” di Dio è pure nemico del credente: “Non odio forse, Signore, quelli che ti odiano / e non detesto i tuoi nemici? / Li detesto con odio implacabile / come se fossero miei nemici”: così come nelle varie altre società organizzate c’è odio per coloro che sono considerati nemici della patria, esterni e interni, così è nell’antico Israele; e teniamo presente che questo è uno stato teocratico, di cui il vero e solo re è Dio.

 

Non si tratta soltanto degli antichi ebrei e del confucianesimo, anche nelle altre culture si trova il precetto di non far male al prossimo - ma non quello di amare tutti - e persino, in alcune di esse, di averne compassione: si veda, ai tempi di Gesú e degli apostoli, l’etica di Seneca col suo diritto umano. Era ed è un generale principio di convivenza, base della morale, essenza di quella che si usa chiamare la legge naturale - che per i credenti è comunque impressa da Dio -; però, e qui viene il bello, non è ancora un principio cristiano.

Cristo, secondo il Vangelo di Giovanni, ormai vicinissimo alla propria crocifissione, rende l’ordine d’amare il prossimo assolutamente più alto, chiedendo ai discepoli d’amarsi “come io vi ho amati” (cioè, addirittura, fino a morirne), in quanto “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13); si noti che, poiché dal Nuovo testamento risulta chiaramente, sempre per bocca di Cristo, che tutti, peccatori e no, sono amatissimi figli di Dio, per amici si devono intendere tutti, compresi i “nemici”; d’altronde Gesú stesso, morente, prega dalla croce perché i suoi persecutori siano perdonati. Secondo gli evangelisti Matteo e Luca, Cristo aveva già affermato chiaramente: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico[3]; ma io vi dico: amate i vostri nemici, e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti…[4]”; “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano”[5]. Solo nella pienezza dei tempi di cui parla il Nuovo testamento, col Cristo, giunge la rivelazione finale di Dio con l’insegnamento che non basta non fare il male, ma che occorre comportarsi come, nella nota parabola, il buon samaritano verso l’ebreo ferito dai ladri – ebrei e samaritani erano avversari –, bisogna soccorrere il prossimo e addirittura amare il nemico, se si vuol essere cristiani.

Non era “Non fate il male” il principio cristiano che padre Matteo Ricci aveva portato in Cina, ma “Fate il bene e fatelo anche ai nemici, considerando ogni essere umano, anche il più socialmente basso, come eguale figlio di Dio e fratello di Gesú”, atteggiamento questo sicuramente distante dalla cultura cinese: e dalla nostra, in cui sono tornati a contare i ruoli sociali e non la persona in sé: il concetto di persona nasce col Cristianesimo[6]. Nello stesso capitolo, poco oltre, Pietro Citati afferma che il successo di padre Ricci e dei suoi era stato scarso perché i cinesi non ponevano essenziali differenze fra l'Alto e il basso mentre i missionari cristiani credevano in un Dio trascendente. Piano, i cristiani credevano e credono a Dio incarnato in Gesú vero uomo. Semmai sono gli ebrei e i maomettani che credono alla sola trascendenza di Dio, e pure per i testimoni di Geova[7] è così: per questi ultimi, Gesú non è Dio coeterno e consustanziale al Padre, ma solo il primo dei creati[8].

 

 

“Perché non possiamo non dirci cristiani”

 

Credo che se fosse ancora su questa terra, l'agnostico Croce tentennerebbe il capo, lui e il suo breve saggio Perché non possiamo non dirci cristiani”cristiani in senso culturale – , lui che, in polemica con Bertrand Russell, anche se a sua volta non credente non esprimeva opinioni superficiali e considerava la civiltà e l’etica occidentali frutti, per notevole parte, del Cristianesimo, di quel Cristianesimo che non si studia. Ha scritto a suo tempo il teologo francese M. D. Chenu, nella premessa alla seconda edizione de “La teologia del XII secolo[9]: “Se dovessi rifare quest’opera, darei assai maggiore attenzione alla storia delle arti, della letteratura, e di tutte le arti plastiche, perché sono non solamente illustrazioni estetiche ma dei veri luoghi teologici”. Capovolgendo: ci sono oggigiorno persone che non sanno riconoscere il soggetto d'un dipinto religioso, anche quando sia primario; che credono che carità significhi elemosina, non amore per Dio e per il prossimo; e c’è chi pensa che l’amore cristiano sia un fatto sentimentale, non il frutto della buona volontà, e di non avere dunque colpa a non amare ogni prossimo. C’è…

Se siete tra quei battezzati che hanno smesso di studiare il Cristianesimo fin da bambini, dal catechismo per la prima comunione; o addirittura, non essendo cristiani, non ne sapete che quanto ne dicono giornali e televisioni; peggio ancora, se l'avete conosciuto solo su opere come il “Dizionario filosofico” di Voltaire; e se pensate che prima di parlare d'un argomento sia meglio saperlo, almeno di base: vogliamo provare a conoscere, sia pur minimamente, qualcosa sui suoi fondamenti storici e su… vi annoio di già?!

Se non vi va di proseguire, pazienza: libertà prima di tutto. Sappiate comunque che non ho intenzione di convertire nessuno, e neppure ne sarei capace: è cristiano il rispondere - per quel poco che si ritiene di conoscere - a chi vuole sapere, non l’imporre. Dio è anche libertà assoluta e ci ha creati liberi. Non bisogna confondere catechismo con studio del Cristianesimo: il primo riguarda il credente che desidera approfondire la sua fede, il secondo è indispensabile alla cultura di tutti.

Se vi va, vi assicuro che non vi farò perdere molto tempo. Forse, neppure vi annoierò. Questo è un breve saggio di uno che, come tanti, del Cristianesimo aveva in testa solo qualche scheggia, che lo riteneva fantasia e l'aveva abbandonato per cose che riteneva più serie; di uno che se n'era staccato per molti anni restando privo di questa essenziale parte della cultura occidentale.

Intendo dunque rivolgermi a non credenti e a credenti e, tra questi, in particolar modo a quelli che fin da bambini non hanno più approfondito e, tante volte, stanno zitti davanti allo sdottoreggiare anticristiano di certi intellettuali che, per primi, del genuino Cristianesimo sanno veramente poco, e male. Naturalmente, questa breve opera sarà solo un passetto; c'è ben più da conoscere per arrivare a una conoscenza sufficiente: per voi, per me, “la ricerca non ha fine”, come scriveva quello che considero il più grande dei teorici della scienza, Karl R. Popper.

Visto che, ovviamente, mi riferirò soprattutto a documenti storici cristiani, che certuni contestano perché “sono di parte”, per prima cosa spiegherò perché si tratta d’un pregiudizio.


 

II         A PROPOSITO DI DOCUMENTI STORICI CRISTIANI

 

 

A proposito di documenti cristiani, cominciando dai libri del Nuovo testamento, non è giusto né razionale nutrire spontaneamente per essi minor fiducia che per le fonti storiche non cristiane: si consideri, oltretutto, che per i fatti narrati gli uni sono in sostanziale accordo cogli altri. La buona fede degli autori deve sempre essere ammessa fino a prova contraria, cioè all'eventuale ritrovamento di convincenti prove opposte. Ad esempio, nessun documento ha dimostrato falso il libro di Luca Atti degli apostoli e, dunque, è bene pensare che la vita della primissima Chiesa si sia svolta, in sostanza, così come dice l’autore[10]. Oltretutto, se si assumesse l’atteggiamento contrario non ci sarebbero più testimonianze per la storia antica, in quanto tutte le relative fonti sono apologie, sono di parte, come gli storici sanno. Per gli autori antichi contava soprattutto mettere in evidenza la figura della persona che era stata protagonista di un avvenimento. In certi casi si trattava addirittura di memoriali degli stessi protagonisti, come i due libri di Giulio Cesare sulla guerra gallica e sulla guerra civile che nessuno però esclude dalle fonti storiche. Essere di parte non significa, per ciò solo, essere in mala fede, inventare. D’altronde anche per la storia più recente è possibile la manipolazione, la malafede, per esempio montando in un certo modo un film documentario per cambiare la cronologia degli eventi; ma anche in questi casi si deve dimostrarlo, che l’autore mente. Non sarebbe atteggiamento culturale ma viscerale supporre pregiudizialmente la mala fede dei documenti di autori cristiani solo perché non si accetta il Cristianesimo. Si noti inoltre che le copie di documenti neotestamentari in nostro possesso, le più antiche del II e III secolo, sono le più vicine nel tempo ai fatti che narrano rispetto a tutte le altre finora rinvenute: di originali, a parte documenti archeologici, non ce ne sono più. Ad esempio, il più antico codice relativo a Virgilio, il Veronensis, contenente frammenti delle Bucoliche, delle Georgiche e dell’Eneide, è solo del IV secolo; cinque secoli separano Tito Livio dalle più vecchie copie di sue opere giunte a noi; circa novecento anni dividono Cesare dalle più antiche trascrizioni rinvenute dei suo libri; e quasi millecinquecento anni separano il tempo di Aristofane e Sofocle dai più vecchi manoscritti di loro lavori in nostro possesso. Inoltre, i documenti neotestamentari sono assai più numerosi: ne sono stati trovati circa cinquemila. Tra questi, il più antico è il P52 Rylands, un frammento del 120 / 130 circa di 6 centimetri per 9, contenente alcuni versetti del Vangelo secondo Giovanni[11]: soltanto novanta – cento anni lo separano da quanto narrato. Possediamo poi alcuni brani scritti attorno all’anno 200, cioè il documento P64 Magdalen – ma questo potrebbe essere di molto più antico: si veda oltre –, il P65 Bodmer e il P67 Fondazione San Luca. Del III secolo e meno incompleto, abbiamo il P45 Chester_Beatty, composto da una trentina di piccoli fogli contenenti lunghi brani e capitoli interi dei Vangeli. Tutti i citati manoscritti sono su papiro[12], supporto non molto caro ma facilmente deteriorabile. Documenti rimasti più integri furono composti dal IV secolo sulla più resistente pergamena, quando alla Chiesa, dal tempo di Costantino, fu possibile accumulare beni e dunque, tra l’altro, avvalersi regolarmente di quest’assai più costosa base di scrittura; tra altri documenti, e di gran valore per la ricerca, possediamo, del IV secolo, il Vaticanus, che contiene quasi tutta la Bibbia, e il Sinaiticus, con il Nuovo testamento pressoché completo, mentre i fogli sull’Antico sono in gran parte persi. Del V secolo e ancor più importanti perché riproducono l’intero Testamento, abbiamo, sempre tra altri, l’Alexandrinus British Museum, il Codex Ephraemi Biblioteca Nazionale di Parigi e il Codex Bezae Cambridge (in latino oltre che in greco).

        Veramente alcuni brani neotestamentari sono stati datati ancor più prossimi ai fatti, precisamente al fatto             Gesú,  documenti ritenuti da alcuni studiosi della metà circa del I secolo.

Anzitutto, un frammento classificato 7Q5, contenente tredici lettere ancora leggibili, su più righe, che apparterrebbero al capitolo 6, versetti 52 - 54 del Vangelo di Marco i quali, nella loro interezza, recitano: “…perché non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito. - Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret. Appena scesi dalla barca, la gente lo riconobbe”. Per primo, nel 1972, José O’ Callaghan suggerì questa coincidenza, e pure che un altro frammento ritrovato, il 7Q4, fosse riferibile al Nuovo testamento e, precisamente, che si trattasse di caratteri della I Lettera di Paolo a Timoteo, capitolo 4, versetto 1; questa seconda ipotesi è stata da quasi tutti contestata, però, secondo lo studioso e docente Harald Riesenfeld, luterano bultmanniano convertitosi al cattolicesimo, il frammento conterrebbe davvero caratteri della I Lettera di Paolo a Timoteo 4, 1, versetto che nella totalità dice: “Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche”. Pure l’ipotesi sul 7Q5 è stata da certuni contestata, ma ha ricevuto anche l’approvazione di non pochi studiosi. Il 7Q4 e il 7Q5 fanno parte dei Manoscritti del Mar Morto trovati in grotte a Qumran fra il 1947 e il 1955 e custoditi a Gerusalemme, e sono, in ordine di ritrovamento, il quarto e il quinto documento scoperti nella settima grotta, grotta-custodia chiusa come altre della zona, per preservare dai romani quegli e altri scritti, prima del 68. Questo è l'anno dell’annientamento di Qumran da parte della legione Fretensis, in seguito alla rivolta ebraica che avrebbe portato nel 70 alla distruzione di Gerusalemme e del tempio.

Inoltre abbiamo tre frammenti, costituenti il già citato papiro P64 custodito nel collegio universitario Magdalen, scoperti in Egitto alla fine del secolo XIX da Charles Bousfield Huleatt e che riportano sicuramente frasi del Vangelo secondo Matteo, capitolo 26, versetti dal 6 al 16 in cui sono descritti l’unzione di Gesú in casa del lebbroso Simone e il tradimento di Giuda Iscariota. Secondo il ricercatore Carsten Peter Thiede, i frammenti P64 Magdalen furono scritti fra l’anno 40 e il 70. Per questo documento però non c'è, come per il 7Q4 e il 7Q5, un fatto ben datato, la distruzione di Qumran: come avevo già indicato, altri ricercatori avevano a suo tempo, anno 1950, stabilito della fine del II secolo il P64 Magdalen[13].

 


 

III       SULLA RISURREZIONE 

 

 

È naturale partire da Gesú crocifisso e, per i credenti, risorto: come purtroppo non tutti, e neppure tutti i cristiani, sanno con chiarezza, il Cristianesimo si fonda infatti essenzialmente sulla risurrezione di Cristo. Non sui dieci comandamenti come tante volte si ascolta, pure da qualche cristiano non informato: su Gesú risorto. Non, anche se meno imprecisamente, sull’ama Dio e ama e servi il prossimo compreso il nemico. Vi sono non credenti che accolgono questo principio e cercano di metterlo in pratica. Come meglio vedremo, secondo il Cristianesimo[14] anch'essi sono in Dio, anche se per loro Gesú è solo un uomo che impartisce e applica questo comandamento nuovo, “uomo tra i migliori se non il migliore” come ho sentito dire da una persona giusta e atea, “e di cui si può quindi cercare di seguire l'esempio”. Già, ma Gesú dice di essere “la via, la verità e la vita”, si proclama espressamente Dio-Figlio di Dio e se non lo fosse si tratterebbe d’un pazzo oppure d’un millantatore bugiardo; sarebbe un uomo dappoco, non il migliore degli uomini. Perché sia il migliore deve essere anche Dio; e posso ora dire più precisamente che il Cristianesimo si fonda sul Cristo che, risorgendo, dà la garanzia di essere Dio e che tutto quanto ha detto e fatto viene da Dio.

 

 

Nulla si crea, nulla si distrugge

 

Nel suo “Dizionario filosofico”, Voltaire ironizza sulla risurrezione del corpo, che per i cristiani è dogma. Fa l’esempio dei morti in guerra, i cui cadaveri sono sepolti nei campi di battaglia. Sulle loro spoglie, col tempo, crescono piante, vengono coltivate messi che acquisiscono la materia dei cadaveri. Uccelli ed essere umani si cibano di quei frutti, poi i secondi della carne di quegli animali, acquistando così nel proprio corpo le molecole di altri esseri umani defunti. Come mai risorgeranno i corpi, se la loro materia appartiene a più persone? conclude in sostanza, irridendo, il grande filosofo.

Bisogna precisare che cosa il cristiano - se conosce il Nuovo testamento - intende per corpo risorto. Checché ne pensasse Voltaire, non intende la risurrezione di queste nostre molecole. San Paolo, nella I Lettera ai Corinzi[15], dice chiaramente che, a imitazione di quello di Gesú risorto, il nostro corpo risorgerà in altra forma, in forma gloriosa spirituale; precisamente, che il nostro corpo animale-materiale nonché psichico perché dotato di ragione-io, si trasformerà in corpo glorioso e pneumatico (spirituale) eterno. Lo dice dopo aver premesso un’allegoria, che si semina un chicco e sorge una spiga, la quale è in un certo senso quel seme ma non è più, in senso stretto, il chicco che è marcito: nessuno di quelli della spiga è il chicco seminato ma, in nuova forma gloriosa, quella spiga intera è il seme marcito[16].

È bene dunque non studiare il Cristianesimo sul “Dizionario filosofico” di Voltaire il quale, evidentemente, nell'irridere alla risurrezione basandosi sul principio del nulla si crea e nulla si distrugge, non conosceva il Nuovo testamento. Ancor oggi si sente dire che, di fronte alle scoperte della scienza, il dogma della risurrezione di Cristo non è più sostenibile. Invece la chimica e la fisica non c’entrano, non ha nessuna importanza che la materia del corpo di un sepolto finisca in quella di una pianta e che esseri umani mangino i suoi frutti e incorporino quella materia: per il Cristianesimo ciò che risuscita è la nostra persona in forma sublime, gloriosa spirituale; è qualcosa che ha a che fare con l’inconoscibile Trascendente: Gesú, per chi crede ai Vangeli, nel presentarsi risorto agli apostoli entra in un luogo chiuso, passa per così dire attraverso i muri, ciò che sarebbe inconciliabile col principio dell’impenetrabilità dei corpi se il trascendente Risorto fosse fatto di immanente materia. Come può essere la materia trascendente? Il cristiano è curioso di sperimentarlo quando sarà il momento. Per adesso sta a ciò che dice Paolo e a quanto afferma la I Lettera di Giovanni[17]: “Fin da ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora rivelato quel che saremo. Sappiamo che quando egli si sarà manifestato, saremo simili a lui, poiché lo vedremo come egli è”


[omissis]

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